CAMPOFORMIDO. Marco e Luigi frequentano l’Associazione ex giocatori d’azzardo e loro famiglie (Agita) di Basaldella. Dal baratro in cui a causa del gioco erano caduti, pieni di debiti e con un mondo di affetti distrutto, sono resuscitati. «Ho cominciato a 16 anni, una schedina con gli amici – dice Marco –. Poi sono venute le scommesse sulle corse dei cavalli. E altro. Finché ci si ritrova che non se ne può fare a meno, si perdono soldi, ci si affanna a giocare sempre di più per ripianare l’ammanco. Pensi di avere toccato il fondo, ma non sai che ti aspettano momenti peggiori. Stai male. Pensi di farla finita». Marco ha sempre lavorato, anzi doveva fare due lavori per necessità di soldi da giocare. «Ma senza costrutto, finivano subito». Perso l’affetto della donna che stava con lui, abita da solo per tre anni. Solo con la sua angoscia. Perché è caduto nel gioco compulsivo? Più tardi sarà la madre ad avviarlo con una prima telefonata al centro di Basaldella e ad accompagnarlo in terapia. Dove s’è reso conto che quella dipendenza era la punta dell’iceberg di un disagio profondo, reazione a un contesto familiare carico di violenza, alcolismo e problemi sociali gravissimi. Come se ne esce? «Parlando – dice l’ex giocatore –. Difficile ammettere le proprie difficoltà. Ma se uno si spoglia dell’orgoglio, per emulazione lo fanno anche gli altri». Adesso ha una nuova compagna, un nucleo familiare sereno. Debiti da pagare ne ha ancora. Nel percorso, un aiuto inaspettato la comprensione ricevuta sul posto di lavoro: «Mi sono autodenunciato. Hanno capito. Mi hanno dato la possibilità di restituire. Hanno avuto fiducia». Simile la storia di Luigi. «Arrivi a un punto in cui ti si prospettano tre vie: il carcere, il suicidio o chiedere aiuto», dice. Anche lui ha cominciato per caso: una notte, per bere qualcosa, all’unico posto sempre aperto: il casinò oltre confine. Giocati 10 euro, vinti 16. «Nessuno vince in realtà – dice Luigi –: i soldi li hai, ma non sono tuoi, sai bene che sono per la prossima giocata. Anche se sei disperato perché pieno di debiti, il gioco diventa la medicina: nessuno sta male dietro la macchinetta». Il testimone del Centro di Basaldella dice di aver giocato soldi per 10 anni e di averne spesi altrettanti per recuperare. «C’è una via d’uscita – dice –: pian piano ho ricostruito la mia vita. La mia consorte mi ha messo in mano un libro e sono arrivato al centro Agita. Percorso duro, alla fine però ti fa apprezzare la vita come nessun’altra esperienza. Ma la guerra nel complesso è impari: si vuole che la gioventù si impegni, ma la pubblicità del gioco, dilagante sui media, fa balenare il miraggio di guadagni facili e sicuri. Noi chiediamo una legge che sospenda la pubblicità, come per le sigarette. Non ce l’abbiamo con i baristi che installano le macchinette: se ciò costituisce il 60% degli introiti, ne hanno diritto. L’azzardo è nella legge». |