08/04/2015
 Jamma.it
  
 Intervista con il dottor Rolando De Luca
  
 

(Jamma) – “Abbiamo realizzato qualcosa di rilevante”. Così dichiara, in un’approfondita intervista concessa al nostro giornale,Rolando De Luca, psicoterapeuta, responsabile del centro di terapia nato a Campoformido nel 1993. Dieci i gruppi, che partono tutti dall’azzardo, oltre 280 le persone, tra giocatori e familiari, seguite ogni settimana, con risultati efficaci e documentati: solo l’1% di disoccupati e nessun suicidio. “In questi quindici anni – ha spiegato il dottor De Luca – sono state condotte sei ricerche sperimentali, tutte pubblicate su riviste scientifiche. Noi avevamo lanciato l’allarme già nel 2000 a Campoformido, durante i vari convegni nazionali svoltisi negli anni avevamo evidenziato come la situazione fosse grave ma quasi mai siamo stati ascoltati. Ormai credo sia difficile intervenire. Il gioco d’azzardo è diventato un problema sociale, ma chi lo ha provocato? Trenta anni fa tutto questo non esisteva”.

Oggi spesso si sente dire che prima c’era il gioco clandestino…
“Invenzioni: il gioco clandestino rappresentava una parte minima. Io che seguo la materia da quando è nato il tutto so benissimo che nel 1993 c’erano i giocatori d’azzardo patologici, ma erano pochi. Adesso, invece, sono tanti. Questo perché in venti anni il territorio è stato massacrato. La responsabilità di tutto questo è dello Stato, delle istituzioni, che hanno deciso di incassare questi miliardi e di continuare a farlo. Ora vogliono occuparsi del problema? Non ha senso, se permane il conflitto di interessi”.

Oggi tutti parlano di addiction, dipendenza, GAP, spesso a sproposito. Risposte concrete possono essere date soprattutto da chi lavora sul campo. Esiste secondo lei un metodo da seguire e che porti a dei risultati concreti?
“Non voglio passare in rassegna i vari i modelli seguiti. Posso solo dire quel che faccio io da oltre quindici anni, con i risultati documentati che ne conseguono di cui ho parlato prima” ha detto De Luca. “Seguo il metodo della terapia di gruppo a lungo termine, un intervento altamente professionale. Si parte dall’azzardo e poi si va ad incidere su aspetti profondi, sia personali che familiari. Attraverso le ricerche sperimentali pubblicate su riviste scientifiche viene dimostrato che calano i livelli di ansia, ostilità e depressione. Anche per questo siamo riusciti a non avere alcun suicidio. Un risultato importante”. “Il compito dell’istituzione dovrebbe essere quello di tutelare la salute del cittadino – ha proseguito lo psicoterapeuta – ma non credo che possa affermare questo ruolo quando essa stessa genera il problema, dopo aver indotto gli italiani all’azzardo. Se lo Stato ora, tardivamente, definisce il gioco d’azzardo come una priorità sociale (sottolineando il suo dovere di tutela della salute pubblica) c’è il rischio di un’ulteriore ambiguità. È come se dopo aver fatto piovere delle bombe per 15 anni su un paese, devastandolo, chi bombarda affermasse che è interessato alla salute di quei cittadini… Sono parole prive di senso”. Naturalmente quando si parla di gioco d’azzardo non si tratta solo di slot machine. Il problema è ben più ampio e De Luca ne è ben consapevole. “Gratta e vinci, bingo, scommesse, online, c’è di tutto e di più. E’ vero che oggi oltre il 50% dei giocatori patologici si ritrovano in queste condizioni a causa delle slot, ma i restanti? “Le persone si rovinano anche con altro. Con quale coerenza lo Stato ha dapprima creato tutto questo e adesso scopre le “priorità sociali”? Che senso ha mantenere tale sistema e giustificarlo con una presunta lotta all’illegalità oppure facendo appello al libero arbitrio? Nessuno. Tutti i nostri pazienti si sono ammalati di gioco d’azzardo legale e questo disturbo ha tra le sue caratteristiche peculiari proprio quella di fiaccare la capacità di mantenere il controllo e limitarsi. Quindi…”

Alcuni movimenti politici hanno promosso il trattamento con un farmaco. Cosa ne pensa?
“Un fenomeno con tali valenze individuali, familiari, sociali e culturali non si presta a soluzioni semplicistiche e peraltro finte. Chi le avanza dovrebbe esibire dei seri dati clinici e sperimentali. Così valga per tutte le altre esperienze: per confrontare informazioni rigorose e dati con quelli degli esiti della terapia di gruppo a lungo termine. Dal canto nostro, così abbiamo raggiunto dei risultati rigorosi, certi, valutati con severità. Qui da noi hanno concluso il lungo percorso terapeutico oltre centocinquanta persone tra ex giocatori e familiari. Esse vengono ancora monitorate dopo 10 anni. E solo due sono stati i casi di persone tornate all’azzardo.”

Parlano in ambito politico di stanziamenti di milioni di euro per la cura di un fenomeno che, dal punto di vista quantitativo, non è ancora ben definito. Di fronte a tanto spiegamento di forze e tanti investimenti qualche dato, oggi, dovremmo averlo in mano…
“Direi proprio di si. Quelli che sembrano tanti soldi, in realtà, sono comunque insufficienti, perché se si deve andare a mettere in campo un intervento terapeutico serio, i costi sarebbero ben maggiori. Senza contare visto che non ci si improvvisa terapeuti di nessuna patologia, tanto meno lo si può fare in questo settore: esiste un problema serio di preparazione degli operatori che spesso si trovano ad accogliere queste famiglie non disponendo di competenze adeguate a trattarle, dal momento che fino a pochi anni fa nessun paziente si era mai rivolto loro in cerca di cura , oggi invece le persone sofferenti di azzardo si riversano sui pochi servizi che cominciano ad essere aperti portando loro mille problemi. Ma poi che senso ha questa concatenazione di azioni? Prima si crea il problema (e lo si perpetua) e dopo lo si cura. Ma non sarebbe stato meglio non causare il problema? Oggi il fenomeno dell’azzardo patologico è veramente forte, ma d’altra parte l’offerta è alta, se c’è un giro d’affari da quasi 100 miliardi… Vorrei precisare – ha aggiunto De Luca -, che non si tratta di un fenomeno che riguarda solo le persone meno abbienti, o con qualche particolare fragilità individuale o qualche altra dipendenza, ma un po’ tutti. A una persona di qualsiasi ceto sociale e senza problemi di equilibrio mentale può accadere di soffrire in modo insopportabile per un lutto in famiglia, per una malattia grave, e in quello stato d’incontrare il gioco d’azzardo, e di ricevere un effetto di distanziamento da emozioni insopportabili per lui. Se vi aggiungiamo che l’azzardo – quale droga legale e dunque “perfetta” – manda un messaggio di gratificazione, di vincita risarcitoria e facile, e che la struttura di molti dei giochi più diffusi è basata sui meccanismi di condizionamento classico ed operante è ovvio che tutto ciò fa da volano. In passato, quando le persone soffrivano per vicende simili, reagivano diversamente al trauma. Non andavano a giocarsi d’azzardo l’abitazione dove vivevano. E poi lo stato di dipendenza d’azzardo negli ultimi anni è divenuto molto più grave. Dal punto di vista clinico, da circa tre anni incontro pazienti assai più difficili da prendere in carico di quelli assistiti in quasi venti anni di esperienza di gruppi di terapia. Le situazioni sono completamente disgregate ed è molto difficile trovare un aggancio.

Sembra che si stia utilizzando questo problema, il fenomeno del gap, per poter accorciare la catena degli operatori e mettere tutto in mano a pochi grossi imprenditori. Allo stesso tempo chi si occupa della tutela del giocatore sembra interessato a tutt’altro, a garantirsi la possibilità di fare corsi di formazione, di portare avanti il proprio sistema terapeutico. Il politico intanto si sente sollevato perché denuncia il fatto che esiste un pericolo di gioco d’azzardo. Poi succede che non si possono prendere posizioni decise e coraggiose perché si perdono i soldi che dovrebbero essere destinati a ‘buone’ cause, come interventi sul sociale, finanziamenti, il salario di cittadinanza…
“Io dico che bisogna fare una scelta e comportarsi in maniera coerente. Uno Stato democratico non può permettere quello che accade oggi. È possibile che ci siano questi conflitti di interesse? Dovremmo gridare allo scandalo. Non si può contemporaneamente produrre bombe e poi andare a curare i bambini che saltano per aria. È un assurdità. Che senso ha, ad esempio, prima far aprire i bar e metterci dentro le slot e poi premiare quelli che le tolgono? Io ho baristi che sono in terapia, così come gestori di case da gioco di piccola dimensione” ha detto ancora lo psicoterapeuta.

E sui movimenti no slot?
“Prima di tutto ribadisco che non esistono solo le slot. Tempo fa avevo detto che per affrontare il problema bisognava eliminare la pubblicità, diminuire l’offerta e poi cominciare a parlare di prevenzione. Oggi non mi sogno più di ripetere queste cose, perché a mio giudizio, purtroppo, anche eliminando la pubblicità ormai il territorio è occupato, forse è troppo tardi. D’altra parte è ovvio che se pubblicità e offerta continuano ad aumentare sarà sempre peggio. Il problema è che serve una legge nazionale chiara, e invece i sindaci, le Regioni, lo Stato tutti si muovono uno contro l’altro. Le istituzioni dovrebbero produrre regole concordate che per ora non ci sono.” Commentando le varie leggi regionali, in particolare in merito alla distanza dai luoghi sensibili, De Luca ha poi espresso un paradosso, una provocazione: “Le slot, le sale scommesse, i Gratta e vinci, dovrebbero essere collocati anche nelle chiese, nelle scuole materne, nei municipi e consegnati alle famiglie per consumarli a tavola o nel salotto di casa. La mia è una provocazione per stimolare un movimento di massa che dica finalmente basta. Oggi invece le iniziative del decreto del governo e delle Regioni non fanno altro che mettere dei tamponi. L’opinione pubblica si tranquillizza, ma il problema non viene affrontato, anzi si peggiora la situazione, perché se io voglio giocare non ho certo difficoltà ad andare nel quartiere periferico dove non c’è nessuno, e li poi bisogna vedere che succede, confinando tutti i giocatori ai margini della città”.

Infine alcuni numeri…
“Attualmente nei gruppi riscontriamo una percentuale di abbandono pari al 2%. La presenza ai gruppi di terapia è costante e continuativa; gli assenti ingiustificati sono meno dell’1%. Il 96% di coloro che hanno iniziato la terapia nel triennio 2011-2014 non l’hanno ad oggi abbandonata. Dimostrare che con una lunga terapia non c’è stato nemmeno un suicidio (mentre le statistiche indicano il debito da azzardo tra le motivazioni principali di queste tragedie), osservare che le persone riescono a reggere il lavoro e di conseguenza a cavarsela bene nella vita, è un successo non da poco. Forse oggi vi sono più problemi personali acuti nella realtà esterna, “normale”, che nei gruppi di terapia” ha concluso con soddisfazione il responsabile del centro di terapia di Campoformido, Rolando De Luca.

Scritto da: m.b.