Ciò a cui stiamo assistendo in questi giorni sono solo i prevedibilissimi “danni collaterali” della diffusione pervasa del gioco d’azzardo nel nostro Paese. Ed è solo la punta dell’iceberg. Per comprendere ciò che sta accadendo, è necessario allargare lo sguardo. Detto in breve: il calcio è la vittima collaterale di sé stesso. È sotto gli occhi di tutti.
Il gioco d’azzardo, scommesse incluse, è ovunque in Italia, diffuso in punti di vendita fisici e online. Tutte le indagini epidemiologiche condotte, sia a livello locale da AND-Azzardo e Nuove Dipendenze APS, sia a livello nazionale (ISS, CNR,…), evidenziano che scommettere sul calcio è un’attività ampiamente praticata dai giovani di genere maschile under 25.
Nel solo 2021, nella fascia d’età 18/24 anni, sono stati aperti 1.360.000 conti di gioco, a cui vanno aggiunti, nella stessa fascia d’età, altri 1.816.00 conti di gioco già attivi (Fonte: ADM).
Le scommesse sportive sono il gioco d’azzardo più praticato dagli studenti italiani maschi. Secondo l’Istituto Superiore di Sanità, il 52% degli studenti 14-17 enni, dunque minorenni ai quali sarebbe precluso l’accesso, frequenta sale scommesse (Fonte: ISS, Audizione al Senato, dottoressa Pacifici 05.05.2022). Ed è ancora più facile aggirare i divieti per scommettere online. Per ogni giocatore d’azzardo patologico, scommettitori inclusi (stiamo parlando di un milione e cinquecentomila persone), vengono impattati negativamente almeno altri 7 soggetti, legati a loro in qualche modo: familiari, amici e - come è appena accaduto nello scandalo scommesse - entourage dell’ambiente lavorativo dello scommettitore.
Il sociologo statunitense Robert Merton usava il termine “Anomia” per indicare situazioni in cui le mete individuali socialmente prescritte (gioca e scommetti!) e le norme istituzionalmente regolanti il conseguimento di esse (non giocare se sei minorenne, non scommettere se sei calciatore professionista, ecc…) risultano incongruenti, ovvero incompatibili di fatto.
Per la Generazione Z, nata e cresciuta in un mondo ove l’azzardo è ovunque, praticare sport, guardare partire e scommettere su di essere è vissuto come un rito collettivo, in cui tutti e tre queste azioni sono imbricate indissolubilmente tra loro. Giocare d’azzardo e scommettere quindi sono diventate mete individuali socialmente prescritte.
Perché allora i calciatori, giovani maschi, proprio come i loro pari, dovrebbero sfuggire queste indicazioni? Solo perché per loro scommettere violerebbe altre norme, simultaneamente esistenti? I giovani calciatori hanno scommesso, anche a costo di pagarla cara, sebbene consapevoli dei rischi che correvano. Esattamente come accada a tutti gli altri “sconosciuti” che violano norme differenti, nello stesso modo: ad esempio, quando a scommettere è un minorenne, in barba ai divieti. O quando a giocare d’azzardo è un esponente delle forze dell’ordine, un magistrato o un operatore sanitario…
Al pari dei loro coevi meno famosi (ma non meno danneggiati!) questi calciatori scommettitori con il loro comportamento mettono a nudo una realtà che dovrebbe preoccupare, e invece è costantemente sottaciuta, negata, manipolata, mistificata, fintanto che adesso non ha investito soggetti in vista
Si scoperchiano i danni collaterali che provoca l’azzardo, in termini di trasgressione delle regole, progettualità, conseguimento dei risultati, qualità della vita: successi e percorsi di vita buttati alle ortiche. Per i calciatori, e per le migliaia di giovani conosciuti. Sono i costi dell’azzardo. Che pagano tutti, non solo i giocatori-scommettitori.
Nell’azzardo il discontrollo non è selettivo e il disturbo da gioco d’azzardo (per piacere, basta con questa “ludopatia”!) è davvero democratico. Tonali, Fagioli, Zaniolo, ma anche i più umili e meno famosi Marco, Paolo, Giuseppe… sono le vittime collaterali di un sistema decisamente malato.
Non è più di prevenzione dunque che bisogna parlare, è troppo tardi; ma di netta inversione di tendenza nell’offerta di azzardo e scommesse, se vogliamo saltarne fuori, e sempre che non sia già troppo tardi. Spiace affermare che al punto in cui siamo arrivati, la prevenzione non sarebbe più sufficiente laddove sport, scommesse e azzardo continuassero ad andare a braccetto come ora. Sarebbe quanto meno necessario separare totalmente questi due mondi. Va cambiata la narrativa. Lo sporto non è azzardo. E L’azzardo non è sport.
A nessuno venga in mente di toccare il divieto di pubblicità che porta con sé la proibizione della sponsorizzazione delle maglie da parte dei concessionari di giochi d’azzardo e scommesse… come si sente dire in questi giorni (anche se tale interdizione è comunque bellamente aggirata nei fatti: chiunque si è accordo che, negli stadi, molti siti, con il pretesto di offrire informazioni, veicolano il pubblico verso piattaforme di scommesse online).
Invece, il mondo del calcio a braccetto con Abodi, Ministro dello sport e dei giovani (sic!), parrebbero rincorrere soluzioni impossibili, gettando la responsabilità dei fatti di questi giorni sui giocatori scommettitori, invece di assumersene quel pezzo che ha a che fare con i legami intessuti tra federazione, società e concessionarie. Anche in questo caso, come già in passato, l’importante è che i danni dell’azzardo restino a casa d’altri. Ma stavolta, invece, questi costi si sono mostrati proprio in casa loro.
Rolando De Luca e Dario Dencic, Responsabili di “AGITA” Associazione degli ex giocatori d’azzardo e le loro famiglie (Campoformido) e Daniela Capitanucci di “AND” Azzardo e Nuove dipendenze (Gallarate)