16/11/2023
 Messaggero Veneto
  
 Da sempre malato di azzardo: 15 anni di terapia per guarire
  
 Era sprofondato in un vero e proprio abisso, il gioco d’azzardo lo stava rovinando, ma è riuscito a trovare la forza per chiedere aiuto. E così ha salvato la sua azienda, il matrimonio e la famiglia, tanto che ora i figli hanno preso in mano l’attività con ottimi risultati. Protagonista di questa storia è un imprenditore friulano che preferisce restare anonimo proprio per proteggere il contesto familiare, ma che non si sottrae a un confronto che ne mette a nudo le debolezze e nello stesso tempo fa emergere la sua forza. A salvarlo da un disastro su tutti i fronti è stata la terapia a cui si è sottoposto per anni – dal 2007 al 2022 – con il sostegno della moglie e dei figli. Ad accompagnarlo verso la rinascita sono state le sedute di gruppo organizzate dal dottor Rolando De Luca, psicologo e psicoterapeuta, da trent’anni alla guida del Centro di terapia per ex giocatori d’azzardo e loro familiari che dal 2020 si è trasferito da Campoformido a Faedis. Nel confronto a due voci l’imprenditore sarà chiamato convenzionalmente Paolo e la moglie Maria. Paolo, quando è nato il suo interesse per il gioco d’azzardo? «Potrei dire fin da bambino. Avevo otto anni e nel sottoscala del mio palazzo giocavo con gli altri ragazzini mettendo in palio giornalini e figurine. Qualche volta anche soldi». E cosa la attraeva? «Sentivo fortissima l’emozione del gioco. Per il giocatore d’azzardo vincere non ha importanza. Lo si capisce anche quando nei bar si vede la gente giocare a carte: c’è il gusto della battuta, dello sfottò. A quel tempo non pensavo che giocare fosse un problema. Anche quando sono diventato un po’ più grande ho continuato: il sabato sera facevamo grandi partite di ramino, briscola e i vari giochi che derivano dalla scopa. Ricordo un Capodanno degli Sessanta trascorso interamente a giocare a carte con i miei amici». I suoi genitori se ne accorgevano? «Beh... una volta persi ottomila lire. Per saldare il debito dovetti chiedere i soldi a mio padre e a mia madre. Ma ancora non era un problema. Le cifre erano limitate». Quando ha cominciato a salire di livello? «Diventando più grande le cifre giocate ai tavoli erano più alte e poi ho iniziato ad andare nei Casinò. A Venezia e a Portorose. Li avevamo a pochi chilometri. Era facile raggiungerli». Con quale frequenza giocava? «Una volta a settimana, il sabato sera. Mi muovevo da solo. Non amavo andare al Casinò con altri. Quando giocavo a carte invece ero ovviamente con un gruppo di amici. Si giocavano già cifre piuttosto alte». E quando le è sfuggita di mano la situazione? «Ho perso tutti i freni inibitori quando ho avuto una ditta individuale. Potevo disporre dei soldi liberamente. Invece quando ero assieme ai soci devo dire che loro mi contenevano». Ma signora Maria lei non si accorgeva di niente? «Sapevo che andava a giocare a briscola con gli amici, ma non avevo ancora una valutazione precisa della dipendenza. Lui arrivava alle 7 del mattino e non mi facevo troppe domande. E poi bisogna avere chiaro un concetto: il giocatore d’azzardo è un gran bugiardo. Sa inventare qualunque storia pur di nascondere il suo vizio. E forse i familiari fanno anche finta di non vedere, vogliono convincersi che non c’è niente di grave». Paolo cosa raccontava a sua moglie per non farla insospettire? «Qualunque bugia. Per esempio una volta che sono tornato a casa all’alba le ho detto che avevo vinto a briscola cinque prosciutti e che ero andato in giro fino a tardi per rivenderli subito». Ci inquadri il periodo e la portata del gioco. «Eravamo agli inizi degli anni Novanta. Da quel momento e fino al 2003 non sono più andato al casinò. Giocavo solo a carte. Si puntava forte. C’erano altri imprenditori al mio tavolo. Ricordo che il 15 agosto 1990 decisi di smettere per un periodo perché la sera, in poche ore, ci giocammo una somma complessiva di 70 milioni di lire. Dissi basta, almeno per un po’». Nonostante tutto ha continuato a giocare. Fino a quando? «Sapevo di non avere più limiti. Alla lunga si perde anche a carte e tutti ne sono consapevoli. Vuole sapere una cosa? Con l’azzardo nessuno esce vincitore. Tutti i giocatori ne sono consapevoli». Maria lei cosa intuiva di tutto questo? «Non sapevo l’entità delle giocate. Avevo la massima fiducia. Ricordo che una volta chiesi a mio marito: mica stiamo per finire sul lastrico? Lui mi disse “Tranquilla, non ti devi preoccupare”. Insomma, era un imprenditore, sapeva il fatto suo. L’azienda andava bene e lui aveva in mano tutta la gestione. Io non collaboravo nella tenuta dei conti. Non avevo ancora capito che i giocatori sono dei bugiardi». Paolo quando si è fermato? «Ricordo che il 26 febbraio 2007 sono tornato al Casinò. Ero solo. Persi seimila euro. A quel punto mi resi conto di non avere limiti. Ne parlai con un amico che mi consigliò di rivolgermi al Centro di Campoformido del dottor De Luca. Lo chiamai subito e così cominciò un lavoro che è durato fino al 2022. Sono venuto al Centro assieme a mia moglie e ai miei figli. Abbiamo partecipato alle sedute di gruppo. È stato difficile, perché tutti i giocatori vogliono uscirne, vogliono smettere con l’azzardo, ma l’indomani tornano a giocare con altri soldi». Invece lei ha tenuto duro. Cosa l’ha salvata? «Ho avuto la fortuna di avere accanto la famiglia. Bisogna fare scelte radicali. Cambiare il giro di amicizie. Io mi sono fermato in tempo. Ancora pochi giorni e sarei fallito. Invece sono riuscito a raddrizzare le sorti dell’azienda. Cosa è scattato? La voglia di crescere, di recuperare le emozioni e l’amore che stavo perdendo. I miei figli mi hanno aiutato e poi tutto è passato in mano a loro. Ma anche questo passaggio generazionale è difficile. Qualcuno dice che è addirittura sanguinoso perché i figli devono eliminare il genitore. Ma io ora ho capito che non è così. Si possono fare le cose con calma, un po’ alla volta. Tutto può funzionare». Le sono pesati questi 15 anni di sedute al Centro, prima a Campoformido, poi a Faedis? «No, mai. È stato interessante partecipare a questo percorso di ricostruzione, condividere le proprie esperienze con altre persone nelle sedute di gruppo». Cosa ne pensa dei calciatori che sono finiti al centro del caso scommesse? «Credo che questi ragazzi non abbiano una guida. Che si trovino al vertice di uno sport e che siano sottoposti a grandi pressioni. Ma non hanno un appiglio come può essere l’amore, la famiglia. È facile in quelle circostanze perdere i valori e finire vittime di dipendenze. L’azzardo può essere una di queste. Mi lascia perplesso, però, sapere che oggi è tanto semplice giocare d’azzardo, scommettere on line o nelle sale e che lo Stato è diventato un biscazziere. Andando avanti di questo passo sarà sempre peggio, l’azzardo non si potrà più fermare».
Scritto da: Alberto Lauber