Quattro testimonianze tratte dal libro: “I gruppi di terapia oltre l’azzardo di Stato. Diari da Campoformido”

Edizioni Goliardiche, 2013

Le quattro storie raccolte nelle seguenti pagine testimoniano un cambiamento possibile attraverso il riscatto dalla dipendenza, che non è più solamente un’utopia ma assume sempre maggiore concretezza grazie al ritrovamento di relazioni e affetti familiari che parevano ormai persi in una fatale scommessa con la vita. Al Centro di Terapia di Campoformido (UD) sono oltre 200 le persone che dopo anni di terapia sono state dimesse e hanno aperto la strada a quelle rimaste ancora nel gruppo, in attesa di uscita.





Miriam e Dario

Fine terapia Settembre 2008

Dott. De Luca
Sig.ra Miriam
Sig. Dario

Bene, allora, voi siete arrivati in coppia a Campoformido nel 2001, non ricordo il mese, ma forse neanche voi lo ricordate.
Si, gli ultimi di maggio, i primi di giugno del 2001

Poi avete concluso la terapia nel 2008.
Gli ultimi di settembre del 2008.

Quindi, visto che oggi siamo il 25 marzo 2009, voi non partecipate al gruppo da 6 mesi. Come si sta senza il gruppo di terapia?
A dire la verità, pensiamo che il gruppo di terapia sia un sostegno, perchè ci si sente più sicuri, più riparati, soprattutto i primi tempi. Poi, piano piano, bisogna riprendere la strada normale. Comunque abbiamo imparato a stare insieme e ora siamo sempre insieme. Quello che non abbiamo fatto per 35 anni lo facciamo adesso.

Veniamo a Udine quasi ogni mercoledì, per un motivo o per l'altro.

Capita, capita...

Che cosa fate quando venite a Udine il mercoledì ?
Capita che abbiamo sempre qualche impegno che, guarda caso, cade sempre di mercoledì.

Ci ricordiamo per strada che continuiamo ad andare a Udine o da mia cugina che abita qui, sempre di mercoledì.

Pensate agli ex compagni di terapia?
Certo, certo.

Ma il gruppo è sempre quello ?

Si, e ci sono anche delle nuove entrate. Comunque avete sentito una certa mancanza del gruppo?
Certo.

Diciamo così, non so se si può chiamare una mancanza, ma c'era un vuoto.

Comunque era una mancanza.

Chiaramente sette anni non si cancellano. Non è per farle un complimento, ma dico spesso che fortunatamente abbiamo fatto questo percorso. Vedo in giro tante cose; per esempio vado spesso in un bar a bere il cappuccino e vedo certa gente che mi mette un po' di angoscia.

A me fa ancora rabbia.

A me mette angoscia. Meno male che abbiamo avuto l'opportunità di venire qui. Vedo che stranamente ora sono io che do una mano a Miriam, questo prima non era mai successo. Vedo le cose diversamente anche se i problemi ci sono ancora, non è che il gruppo ce li ha tolti. I problemi rimangono, ma li affrontiamo in maniera completamente diversa. Io mi meraviglio tante volte di come sono cambiato. Quasi quasi direi come lei, se non addirittura di più. Strano, perché ho sempre giudicato lei una persona molto positiva.

E' cambiata anche Miriam?
Non so, ma ora sono forse io che do una mano a lei.

Mi sono accorta che non serve che sia sempre io a “tirare” in prima persona.

Ci siamo accorti entrambi che era sbagliato.

Bisognava lasciar perdere. Lui ha capito che ha perso molto, ma quando si arriva qui non si conosce il futuro. Chi lo conosce ? Il giocatore dice sempre:” io punto perchè conosco il futuro !” Ma non è così. Anche in questo caso non è così, anche se io vi prospettavo un cambiamento, in realtà non si sapeva cosa poteva succedere. Certamente vi ricordate come siete venuti qui.
In confusione, arrabbiati, avviliti, con tutta una serie di emozioni.

Ora non ricordo bene, ma eravamo in confusione completa. Per la verità non eravamo neanche molto convinti quando siamo arrivati qui, poi piano piano è cambiato.

Molto piano. Infatti ci abbiamo messo sette anni.

Verità per verità, vi dirò che quando vedo le persone convinte sin dall'inizio, sono molto preoccupato. Di solito non reggono la terapia. Vorrei sapere chi è convinto e sicuro prima di affrontare qualcosa di molto impegnativo.
All'inizio non riuscivo a capire i suoi silenzi, non comprendevo che si potesse “ascoltare” anche chi non dice niente, poi, piano piano ho capito,ho compreso che forse dire tutto alla svelta era quasi un alibi, una maniera per buttare fuori senza poi risolvere. Tutto va elaborato con calma, nel tempo.

Bisogna tener dentro procedere lentamente e soffrire. Secondo me adesso ho capito più cose che negli anni precedenti.

Si ricorda di quando è arrivato?
Quando sono arrivato qua e ho conosciuto lei, mi sembrava tutto una messa in scena. Ma poi mi sono detto che valeva la pena provare, visto come eravamo ridotti, non c’era niente da perdere.

Lui diceva: “dipendenza per dipendenza”. Cioè ci togliamo una dipendenza per pigliarcene un’altra!

Invece no. Ora riesco a capire anche le persone. Non abbiamo risolto solo il problema della dipendenza, ma anche quello su come affrontare le situazioni. C'erano delle persone che venendo qui pensavano di risolvere immediatamente il loro problema, restringendo tutto solamente a questo. Ma io ho capito che questo era rimanere alla superficie senza essere risolutivo, un po’come mettere dei soldi in un'azienda che sta fallendo. Il problema vero era cambiare il nostro sistema di vita. Ora, anche se ho delle possibilità, riesco a vivere con molto poco. Forse questo mi è servito per cambiare il mio sbagliato rapporto con i soldi. Non so come dirlo con parole semplici. Per dare dati reali basti dire che abbiamo comprato l'appartamento sopra, ho saldato 150.000 euro e ho messo via 100.000 euro. Pensi un po' che cosa abbiamo fatto.

Io ho sempre detto che la terapia deve rendere almeno 100 volte quello che costa, altrimenti devo rimborsarvi quel poco che chiedo.
Le dico la verità e Miriam lo può confermare, che ho un debito di riconoscenza nei suoi riguardi perché sono cambiato. Prima avevo anche degli scatti d'ira, non so che cosa è successo, ma sono cambiato. Lei non mi ha dato medicine vero?

Assolutamente no.
Possiamo dire semplicemente, visto che lei è di origine greca, che ha fatto i suoi 10 anni di giri, come Ulisse e quindi e ritornato a Itaca che in questo caso si chiama Miriam.

L'unico sistema è insistere, non ci si può fermare troppo presto perché altrimenti non si risolve niente. E’ appunto il discorso che facevamo prima, tre mesi non servono proprio a niente.

Voi tra l'altro avete vissuto la vita di un gruppo quasi dall'inizio, un gruppo che ha avuto parecchie fughe.
Era un gruppo in subbuglio.

Come tutti all'inizio. Bisogna fare esperienza. Quindi avete retto questo momento iniziale che non era molto semplice.
Però è servito anche questo.

Poi la terapia è un'altra cosa, sia all'interno del gruppo come è ovvio, sia fuori. Io che cosa faccio: sento le persone prima, poi le tengo a “ bagnomaria” per alcune sedute e solo quando sento che hanno capito che entrare nel gruppo per loro è una cosa importante, li faccio entrare. Diversamente accadeva tra il 1998 e il 2002, quando uno arrivava qui e il giorno dopo si trovava già in terapia di gruppo.
Noi abbiamo fatto due sedute.

Quindi è cambiato anche questo. Fare in modo che le persone prendano una decisione responsabile anche non sapendo bene come andrà a finire. Adesso c'è una storia, che prima non c'era. I famosi sette anni biblici delle vacche magre hanno lasciato il posto alle vacche grasse. Ora gli esiti terapeutici sono chiari.
Sono convinto sempre di più che quello è il tempo necessario, perchè bisogna andare lentamente.

All' inizio io non dico mai quanti anni servono, anche perchè dare dei numeri può spaventare o scoraggiare, tanto poi le persone si rendono conto da sole durante il percorso.
Poi è una volta alla settimana, non porta via tanto tempo.

Penso che anche questo sia una percezione distorta , queste 2 ore alla settimana contro 168 di libertà, diventano più di 2 ore nell'immaginario per chi viene qui inizialmente, come se queste due ore compromettessero tutta la settimana. Ma d'altra parte, provi a pensare a qualcuno che deve sottoporsi ad una prova che dura 30 secondi e anche se gli viene detto: “guardi che durerà solo 30 secondi” lui risponderà: “d'accordo, ma poi dopo i 30 secondi che cosa mi succederà?”
Quindi, quando voi siete arrivati qui, la situazione era piuttosto difficile, sia tra di voi che per i problemi legati all'azzardo.

Certo, in pratica l’azzardo mi prendeva tutto il tempo, a casa non c’ero mai e lei mi aveva minacciato che ci poteva anche essere una separazione. Non riuscivo più a reggere, dovevo trovare delle scuse ogni giorno, e poi mi portava via del tempo anche nel lavoro. Ci sono stati anche dei periodi in cui non rendevo come avrei dovuto e quindi dovevo faticare di più per recuperare perlomeno il tempo che avevo perso, in fondo mi pagavano giustamente.

Lei adesso è in pensione ?
No, non sono in pensione. Ma ho un accordo per continuare a lavorare.

Insomma continua a lavorare. Le piace questo lavoro?
Si, diciamo che mi permette anche di stare più vicino a mia moglie.

Quindi tra di voi è cambiato tutto e non pensate più alla separazione.
Al contrario, il nostro progetto è di tenere duro. Gli amici mi dicono che sono proprio fuori.

Insomma gli amici le dicono che è diventato matto perchè è sempre con la moglie?
Comunque ora vede anche gli amici in un modo diverso.

Ho dato un senso nuovo a cose che prima non ne avevano.

Diciamo che il gruppo è artificiale, costruito. Quando siete venuti a Campoformido eravate preoccupati per le persone che avreste incontrato nel gruppo; non pensavate ancora che con queste persone avreste condiviso emozioni profonde. Si può considerare il gruppo come una palestra dove elaborare situazioni che riguardano il profondo, che non sono quelle che noi vediamo in superficie. E’ difficile calarsi nelle realtà intime delle famiglie, dentro la loro storia di oggi e di ieri, il gruppo permette di fare ciò, perché ogni partecipante fa questo stesso sforzo. Questo è un ottimo allenamento, e questa pratica può essere poi portata anche fuori nella vita di tutti i giorni.
Senza giudicare.

Io sono molto restio a crearmi delle amicizie, mi riesce difficile, forse per colpa del mio carattere. Però mi ha fatto piacere che ci siamo appoggiati l'un l'altro anche se non ne ho voluto approfittare.
Comunque per quanto riguarda me, la fiducia che sentivo nel gruppo, non riesco a trovarla fuori.

Di questo però io vi avevo avvertito. Lavoriamo al massimo con quindici / venti persone. Fuori, nella vita di tutti i giorni, come è possibile stabilire rapporti di questo tipo? Penso a situazioni collettive come un sindacato, o la Chiesa, o il volontariato in genere, l’aggregante è spesso un obbiettivo esterno, che non riguarda l’interiorità personale. Qui, nel gruppo, ci si occupa dei diritti di tutti, intendo quelli interni, affettivi. E’ come una miniera in cui lentamente ci si cala, fuori difficilmente succede, e poi tutto questo viene portato in famiglia, nella coppia, durante la settimana. A proposito, voi da quanti anni siete assieme?
Trentanove.

Scherzando mi permetto di chiedervi un’ipotesi che vi veda con un altro uomo e con un'altra donna: quanti anni insieme riuscireste ad ipotizzare?
Una ventina.

Ma non riuscireste a raggiungere i trentanove. Perciò tanto vale continuare così. Dovete essere voi però a decidere.
Parlando del mio gruppo artificiale, pensando alle persone che lo compongono, penso che con loro riuscirei ad avere una certa confidenza, cosa che però non farei con altre. Certo, ora non mi so spiegare bene, ma sono persone con cui in tutti questi anni abbiamo condiviso moltissimo, in esperienze molto difficili, perciò mi fiderei del loro sistema di giudizio.

Per cui c'è questa fiducia.
Molto di più che con amici che conosco da 40 anni.

Perchè è una questione di profondità: la lunga terapia di gruppo si cala all’interno di ciascuno, cancella un po’ alla volta l’ostilità, le riserve e le diffidenze, sostituendole con il dialogo, e alla fine conduce le persone alla condivisione.
Certo, certo. E poi c’è la fine della terapia

La fine della terapia è alle volte un momento molto difficile; lasciare il gruppo può essere molto più doloroso che entrarci, è come un lutto da elaborare. Ma lo scopo della terapia è riconsegnare le persone all'infelicità comune come direbbe Freud, liberandosi della stampella del gruppo . E' come nella scuola: si comincia con le elementari, poi le medie, le superiori e l'università, ci restano tanti bei ricordi, ma è giusto che questi momenti trascorrano e durino un tempo definito, infatti se invece di rimanere cinque anni alle superiori, come è giusto, uno ne rimanesse dieci, probabilmente i ricordi non sarebbero più così belli.
Ho spesso pensato che dopo essere uscito dal gruppo, avrei avuto bisogno ogni tanto di fare una “rimpatriata”, magari una chiacchierata con lei, insomma, un po’ come un “tagliando”, anche se credo che sia giusto alla fine uscire dal gruppo e camminare da soli.

Potrebbe essere che ogni tanto si fa una registrazione di questo tipo, per vedere che cosa succede alle persone una volta uscite. Lo scopo ad esempio del convegno nazionale sul dopo terapia che organizziamo a Campoformido è proprio questo: cioè dimostrare appunto che il cambiamento persiste anche dopo un lungo intervento terapeutico di gruppo. A questo proposito vi devo dare questo questionario che ci servirà per una ricerca sperimentale in collaborazione con l’Università di Urbino.
Per ora il cambiamento persiste, come si fa a verificare se persiste a lungo?

E' come a scuola, si impara una cosa e anche quando non si va più a scuola non la si dimentica, le basi rimangono. Oppure come sul lavoro: non è che andando in pensione non si sa più fare il nostro lavoro, si perde l’allenamento ma non si dimenticano le basi.
Già, comunque la base c'è.

Oggi mi sono accorto che la chiacchierata che abbiamo fatto mi ha fatto bene, sarebbe importante ripeterla ogni tanto.

Potrei pensare ad incontri di questo tipo; non di gruppo , ma individuali.
Secondo me sarebbe utile. Ho imparato un po' da lei, tutte le cose, anche quelle semplici valgono.

Lei che ha esperienza di azienda e si occupa di sedie sa che i piccoli gesti fatti ogni giorno possono sembrare ripetitivi e monotoni, ma sono molto importanti.
Ma pensi a chi sta per 40 anni dietro una macchina e poi non viene considerato più di tanto.

Lei che fa un lavoro di coordinamento, anche li c'era molta ripetitività e che cosa doveva fare ?
Sempre le stesse cose.

A un livello diverso, ma ripeteva sempre le stesse cose. Quindi la ripetizione è importante. Ieri in un gruppo, mi veniva fatto rilevare proprio questo, c'era una signora che mi rimproverava di ripetere troppo spesso le cose mentre altri dicevano che la ripetizione invece va bene. Noi tendiamo sempre a volere novità, ma poi la vita ci dice che non funziona proprio così.
Sto cercando di insegnare anche a mio figlio queste cose.

Prendiamo anche quanto avete vissuto e rielaborato dolorosamente a causa della morte di vostro figlio.
E' morto nel '93 ma è come se fosse morto ieri. Non cambia niente.

Lui era cerebroleso a causa della toxoplasmosi presa in gravidanza.

Per noi il periodo più duro è in marzo perchè è l'anniversario.

Per noi è stata dolorosa anche la vicenda legata alla Englaro, perchè anche nostro figlio mangiava con il sondino. Abbiamo fatto una scelta, lo tenevamo a casa, e quando è morto ci sono mancate le sue carezze i suoi sorrisi. Eravamo sereni non felici.

La vita è ingiusta
Non l'ho mai visto come un castigo. Succede, ci sono tante persone peggio di noi. L'abbiamo accettato.

Quindi anche questa catastrofe ha investito pesantemente la vostra coppia
Tutte le energie erano li.

Poi c'è l'altro figlio che si è sposato. Come sta?
Sta bene, figli non ci sono, sembrano ancora così bambini loro.

C'era un periodo in cui voleva due gemelli.

A comando.

Lui, secondo me, ha pensato anche a suo fratello, visto che non ne parliamo quasi mai, anzi mai. Però forse gli fa anche un po’ di paura, anche lui ha ricordi dolorosi. Perciò immagino che vorrebbe e non vorrebbe. Io non ho mai affrontato con lui questo argomento.

Anche se a me ha chiesto una volta da cosa derivava la malattia di suo fratello. Pensava fosse ereditaria. Gli ho detto di no.

Questo va chiarito perchè poi rimangono delle paure. Però la coppia sta reggendo.
Sono ancora li.

Ma quale coppia. la loro o la nostra ?

La loro. Ma voi contribuite reggendo la vostra. Lui vive molto di riflesso, la vostra positività è un sostegno per lui.
Anche se c'è sempre un po' di conflittualità tra loro due.

Si ma molto meno.

Molto meno perchè sono cresciuti tutti e due.

Si ma ho imparato quello che mi ha detto il dott. De Luca. Adesso non gli dico le cose direttamente, ma lascio che se la sbrighi lui da solo.

Una volta voleva risolvere subito tutti i problemi.

Invece ho capito che bisogna lasciare che ci rifletta da solo.

Bisogna dar tempo al tempo.
Arrivati al fine terapia voi proseguite per Itaca.
Si.

Ritornando ancora un momento a mio figlio, sembra quasi che il mio miglioramento abbia fatto migliorare anche lui; eppure è lontano, è dal 96 che è via. Noi siamo venuti qui nel 2001, eppure lui ha iniziato a cambiare quando sono cambiato io.

Vede che non è la comunicazione verbale la più importante? Lei sa che anche in fabbrica succede la stessa cosa; non ha bisogno di parlare in continuazione.
Sono d'accordo. E' una scuola.

Poi ho visto che è cambiato anche il suo rapporto con sua madre.

La mamma che arriva nel paesino a 15 anni senza sapere una parola di italiano.
Sì, in Friuli.

E' già sposata e impaurita, perché appena arrivata diventa l’oggetto della curiosità di tutto il paese che vuole vedere come è la “greca”.
Erano anni diversi.

E' come un film. Quella volta era un avvenimento insolito.
Era un po’ come essere la pecora nera. Chissà perchè prima non avevo dei buoni rapporti con i miei genitori, anzi quasi inesistenti. E ora è cambiato, non dico che ci vediamo ogni giorno ma sicuramente 2 o 3 volte la settimana.

La mamma è mai più ritornata in Grecia?
Si.

Anche negli ultimi anni?
15 anni fa forse.

Potrebbe ritornare?
Ma ormai ha quasi 80 anni.

Ha i cugini lì, ma non se la sente più di andare.

La madre è originaria del Peloponneso?
Si. Le ho detto di ritornare, la sorella è morta tanti anni fa e l'altro fratello è qui. Vediamo se riusciamo a portarla.

Sta bene comunque per avere quasi 80 anni.
Si ha salute da vendere e poi è grintosa.

Voi invece da quanto tempo mancate dalla Grecia?
Io sono andata un'unica volta nel '79 e dopo tu sei tornato nell'81.

Si sono andato quando è morta mia nonna.

E adesso quando pensate di ritornare?
Penso a tutti questi anni che ho buttato via per il gioco. In compenso è stato qua mio zio, i miei cugini. Sono stati qui loro, e siamo stati insieme.

Quindi adesso lei continua a lavorare, senza esagerare.
Si, senza esagerare.

Lei invece si dedica ancora al volontariato?
No ho lasciato, ho avuto un momento difficile per la vicenda del fratello, meno male che quella volta eravamo in terapia.

E' stato un momento durissimo anche quello. Poi era giovane ed è successo tutto in sei mesi.

Quindi state molto assieme e fate anche delle cose assieme.
Certamente.

Ultimamente avete acquistato case?
Si, vicino a dove abitiamo.

Sono case vecchie e un pezzettino alla volta le restauriamo. Una è già a posto e l’abbiamo affittata. Ma ora con la bella stagione mi rimetto al lavoro e, visto che non è il mio mestiere, mi farò dare una mano; volevo restaurare due casupole storiche. Vediamo di restaurare un po’ alla volta.

Si facciamo il lavoro insieme, io gli do una mano.

Lei ci sa fare insomma?
Lei critica.

Io sono più pratica, l'artista è lui.

Poi andiamo anche in giro.

In giro che cosa vuol dire?
Andiamo 2 o 3 volte alla settimana da sua madre, poi da sua cugina qui a Udine.

Fate anche dei viaggi?
No, perchè non siamo abituati.

Si ogni tanto andiamo, ma solo in giornata. Abbiamo in progetto di visitare un po’ l’Italia: Firenze, Roma, e poi vediamo di ritornare in Grecia. Solo che non siamo abituati. Ci sembra di lasciare qualcosa qui.

Tanto più che ora non abbiamo neanche più il cane. Prima avevamo la scusa del cane.

Ci sono tanti bei posti da visitare. Vostro figlio si è sposato e vive fuori regione, andarlo a trovare è l’occasione per fare un viaggetto, e poi non avete neanche l’impegno del cane. Le proprietà immobiliari possono aspettare. Perché non iniziate?
Stiamo lavorando un pezzo di terra che apparteneva a una signora che abitava vicino, è morta e la figlia ci ha detto se volevamo lavorarlo.

Questa terapia in fondo, anche se nessuno lo sa, è stata utile anche in senso edilizio. Avete rimesso a nuovo non solo la coppia, ma pure delle case; se lo sanno altre famiglie, chiederanno subito di entrare in terapia a Campoformido.
Io avrei piacere che conoscano la nostra esperienza, perchè secondo me è importante. Naturalmente non basta, le cose bisogna viverle.
E' come parlare della guerra con quelli che non l'hanno fatta.

Nessun manuale insegna come andare al fronte.
E per tante altre cose.

Voi non siete gli unici che mi avete proposto una specie di tagliando periodico. Molte sono le situazioni nuove che possono capitare nella vita e che noi non siamo in grado di prevedere, così spesso ci sentiamo impreparati.
Per questo infatti si fanno dei corsi, anche lei li farà, per tenersi aggiornato. Così è anche per noi.

Credo che voi siete in grado di aggiornarvi da soli.
Più che un aggiornamento un recupero del passato.

Una conferma anche.
Io so che oggi ho ritrovato un po' di pace, e continuare con il gruppo diventerebbe troppo faticoso.

Con il gruppo assolutamente no.

In questi gruppi di terapia, o si esce perché si abbandona o si esce perché si conclude la terapia. C'è solo una persona che non esce mai, che è prigioniera del gruppo….lo psicoterapeuta.
Ogni tanto passo di qua e guardo se c'è la sua macchina. Ma la cambierà?

Forse la cambio l’anno prossimo. Lei ce l'aveva come la mia?
No, ma se ci avessi pensato prima avrei potuto darle la mia. Perchè l'ho data via di recente e ne ho preso una nuova.

Credo che la terrò ancora un anno.
Ma per dire la verità, la macchina che avevo prima mi costava molto in manutenzione e anche se avevo trovato un meccanico molto simpatico, ogni volta erano un mucchio di soldi. Ora con la nuova, per almeno 2 o 3 anni non avrò nessun problema. La mia era una turbo diesel mentre la sua è a benzina. Ma lei non corre vero?

Sì, non faccio azzardi sulla strada. Quindi anche la figura del terapeuta fa esperienza nei gruppi.
Abbiamo fatto esperienza insieme. Anche lei è cambiato durante il percorso. Mi accorgevo dei suoi cambiamenti.

Il terapeuta cambia, e cambia con il gruppo.
I primi tempi il gruppo era diverso da quello che è diventato dopo.

Erano molto più orientati verso il sintomo.
Pensare solo al sintomo mi sembrava un po' riduttivo.

Comunque, andando avanti, capisci che le cose vanno diversamente.

Allora adesso chiudiamo la registrazione. Abbiamo detto delle cose molto semplici ma fondamentali. L'eccezionalità sta nel fatto di rendere semplici le cose importanti. Vi ringrazio anche a nome di chi eventualmente ascolterà le vostre parole. Ho diverse registrazioni di questo tipo, e sono sempre molto utili per la formazione.



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Lino e Silvia

Fine terapia 2008



Dott. De Luca
Sig. Lino
Sig.ra Silvia


Quindi voi come coppia siete arrivati qui nel giugno del 2003 e ve ne siete andati nell’ aprile 2008
Si, certo.

Inanzitutto, ora è già passato 1 anno da quando siete usciti dal gruppo. Che cosa vi manca del gruppo e come avete vissuto questo anno e due mesi senza il gruppo? Che cosa è successo dopo la fine della terapia, visto che si può parlare del “dopo-terapia” dopo che la terapia è conclusa; prima si fanno solo supposizioni. Mi fa piacere sentire questo da voi.
Allora, inizio io. I primi periodi sono indubbiamente quelli in cui ancora ti rimane dentro questo gruppo, con il quale hai condiviso anni di vita, se vogliamo, e hai condiviso delle esperienze e un po' tutto quello che anche ha a che fare con la sfera familiare e con il problema dell'azzardo. Indubbiamente, per quanto mi riguarda i primi tempi, parlo dei primi mesi, mi è tornato spesso in mente il gruppo; quindi ci siamo anche sentiti telefonicamente con qualcuno, se non sbaglio mi sono sentito anche con lei, per dire per esempio come andava con quel ragazzo, Ermes se non sbaglio. Poi naturalmente, piano piano, uno è come il bambino che all'inizio incomincia a fare i primi passi incerti e poi diventa sempre più franco e sempre più tranquillo e va da solo. Quindi il dopo è stato, diciamo dal punto di vista … da questo punto di vista qua, è stato un dopo nel quale io mi sono un po' instradato, un po' da solo, e comunque il contatto con il gruppo non è mai stato perso. Proprio recentemente ci siamo incontrati, gliel'ho anche detto che abbiamo fatto questa festa, per cui questa voglia di contatto rimane; perciò c'è questo legame che non si scioglie, che rimane dentro. Proprio perchè quando si è qua, quando si viene qua e si passano le 2 ore qua, si ragiona tutti insieme, si parla, si discute e ognuno tira fuori le sue cose, per cui uno è difficile che si possa dimenticare di questa esperienza. Però pian pianino, come tutte le cose, uno si incammina e va e spera di andare avanti diritto e questo è il percorso che ho fatto io per quanto mi riguarda. Tutto sta andando avanti bene, nel senso che io proseguo con la mia vita, faccio la mia piccola attività alternativa, mi trovo il mio tempo libero. Diciamo che la cosa è a tempo parziale e poi mi ricavo i miei spazi, cioè il mio orto. Ci sono le mie passioni, mi ricavo i miei spazi.

Con l'orto va bene? C'è stata la grandine.
C'è stata la grandine, ma per fortuna molto poca. Sono solo preoccupato perchè ultimamente ho due piante di pomodoro che stanno morendo e non ho capito perchè.

Quante piante ha?
Ne ho una ventina.

Anch'io nei miei gruppi non capisco perchè ogni tanto c'è qualche piantina che va per le sue …
Perciò nonostante le mie cure e nonostante le vitamine … Lei dice che ho dato forse un po' troppe vitamine? Può anche essere che l'eccesso possa causare il tracollo!

Ad esempio, nel gruppo l'eccesso iniziale di comunicazione da parte dei nuovi arrivati può portare all’abbandono della terapia. Forse mettono nel gruppo troppe vitamine. E voi ricordate il vostro inizio?
Guardi, all'inizio anch'io … vuoi la forza dell'abitudine, l'appuntamento fisso della settimana e il fatto di aver chiuso, è stato come una crisi; però mi mancava. E poi, pian pianino mi sono abituata, insomma. Io non ho mantenuto contatti con le altre persone, non me la sono sentita. Ho sentito soltanto una persona. Siccome ho chiuso così, non ho avuto ripensamenti; va bene così.

Diciamo questo: il gruppo è artificiale. E’ qualcosa di artificiale rispetto all’esterno, un’atmosfera creata nella stanza terapeutica; fuori c’è la vita reale. L’obiettivo è la riconsegna, come direbbe Freud, delle persone all'infelicità comune, evidentemente senza i sintomi, senza cappi che stritolino le persone, evitando dei tracolli. Descrivere tutto questo è complesso. Metterlo sulla carta è praticamente impossibile … Anche perché chi non ha partecipato ad un’esperienza del genere non può ben capire. Voi comunque siete arrivati nel 2003; erano anni in cui gli abbandoni erano molti di più degli attuali ed ancora nessuno nel gruppo aveva concluso la terapia.
Io ero tanto preoccupata. Era questo masso che era crollato improvvisamente … e non sarei riuscita da sola a reggere il tutto. Penso sia molto difficile riuscire a risolvere un problema così complesso. Come dice lei, non è solo un aspetto economico. Tutte queste cose qua sono il primo impatto, ma è tutto il resto che uno da solo non riuscirebbe a risolvere; si ha bisogno di una guida. Per me partecipare a questo gruppo è come una guida che mi ha fatto aprire gli occhi in una più ampia mente, non solo dal mio punto di vista, ma ad aprirmi a qualche cosa d'altro.

Quindi non tanto solo il rapporto singolo con lo psicoterapeuta, ma anche la possibilità di specchiarsi nel gruppo con gli altri, condividere o no idee … e creare qualcosa di nuovo.
Non è semplice.

… Anche attraverso gli abbandoni e le difficoltà che ci sono state. Non esiste un gruppo perfetto, come non esiste nulla di perfetto; come non esiste un orto perfetto. Anche perché anche se l’orto appare perfetto, ecco, il giorno dopo arriva la grandine. Le stagioni passano e i pomodori non sono sempre gli stessi.
Infatti, io sto andando per gradi. L'anno scorso era peggio, quest'anno va meglio e il prossimo anno probabilmente andrà meglio ancora. Perchè, qua è un riferimento proprio palese al gruppo, di pomodori ne ho piantati 3 o 4, diverse qualità, e ho visto che c'è ne una che non va, cioè va poco, quindi quella la butto fuori.

E' come nel gruppo: ci sono qualità di pomodori che non maturano; ad esempio, le persone che vengono qui da sole hanno molte più difficoltà delle persone che arrivano in coppia od accompagnate da un familiare.
Poi, più un gruppo ha sviluppato una sua storia e più questo gruppo trasmette agli ultimi entrati un’atmosfera che li proietta in un futuro di cambiamenti.
Si lavora molto sull’esperienza acquisita dai componenti del gruppo e dal terapeuta, che non è un totem ma un direttore d’orchestra.

Come tutte le cose e tutti i lavori, l'esperienza ce la si deve fare perché altrimenti non si sa. Io sono uscito dalla scuola e poi, con un diploma di perito industriale, di legno non sapevo niente; l'esperienza sul legno me la sono fatta.
Non sono mica un genio, però insomma qualcosa riesco a dire … riesco a capire. Insomma sono esperienze che uno si fa sulla propria pelle.

Lei ha lavorato con il legno e ha viaggiato molto nei vari continenti …
Ho fatto delle esperienze molto belle; anzi, queste esperienze mi hanno arricchito molto e le ricordo sempre con piacere … e quindi di questo sono contento. Voglio dire che in tutte le cose, ribadisco, l'esperienza va fatta sulla pelle propria. Perchè ci può essere una preparazione di base, ci può essere tutto quello che si vuole, però dopo uno si affina piano piano e arriva alla meta.

Questo è anche interessante: si arriva qui e non è mai come si va via. Non si può sapere in modo anticipato quanto accadrà in terapia e cosa accadrà dopo la fine della terapia; ci si fida del terapeuta. Credo che anche voi in prima seduta abbiate pensato che ero un po’ matto a proporvi un lungo percorso terapeutico. Poi però magari avrete pensato che non avevate altra scelta e che quindi era opportuno seguire quanto vi stavo dicendo, anche se non vi convinceva. Di solito le persone mi dicono che pensavano in questo modo: “non avevamo un'altra possibilità, quindi in questi casi che cosa dovevamo fare?”. Era disponibile solo una guida che andava verso Ovest …
… Di guide in quel momento non ne abbiamo trovate altre.

Abbiamo evitato gli Apaches, perché erano pericolosi, ed anche i Sioux; dopo un lungo viaggio siamo arrivati in California. Comunque quando siete venuti qui eravate molto più preoccupati, mentre adesso siete molto più tranquilli.
Sì, siamo più tranquilli, per carità.

Quindi questa terapia è un buon investimento.
E' un buon investimento dal punto di vista economico.

Anche perchè al di là di tutti i discorsi si viene fuori di qua con un'idea diversa del denaro; anche del valore del denaro, perché prima si perdeva, cioè non esisteva la cognizione del valore dei soldi, si andava e si buttavano là, senza esitazioni. A parte poi i ripensamenti e i ragionamenti del “non lo farò più” e “non ci vado più”, e poi naturalmente il discorso continuava. Adesso si ragiona, secondo me, anche in maniera diversa nei confronti dei soldi e delle spese. Quindi anche da questo punto di vista mi sento di dire che dei benefici ci sono stati.

Abbiamo parlato molto di questo. Le perdite che ci sono state … e pesanti. Questo ci fa capire che nella vita, un po' come nel pugilato, quando si va al tappeto al 2° o 3°round non è che ci si rialza e si dice “siccome è finita la ripresa, il colpo non lo sento più”. Si sente anche alla fine dell'incontro, su quindici riprese, se il colpo o i colpi sono stati forti.
Ci sono colpi che vanno via così e colpi che rimangono. Questo è molto evidente; poi c'è l'aspetto, secondo me importantissimo, cioè l'aspetto della riconquista della famiglia.

Va meglio?
Si vive tranquillamente con i problemi quotidiani, ma voglio dire … non ci sono scosse. C'è nostra figlia, che è arrivata al traguardo. I momenti sono quelli che sono, speriamo che riesca a trovarsi una collocazione. Lei comunque ci sta dando una grande mano a casa. Lei, non perchè è mia figlia, ma senza nessuna spinta, lei da sola ci aiuta, ci dà una mano. Di questo sono completamente soddisfatto. Glielo avevo già detto in terapia. Ho notato un cambiamento nell'atteggiamento di mia figlia due o tre anni fa; c'è stato un cambiamento significativo. Questo fare le cose da sola, senza che le vengano richieste, è anche questo un aspetto positivo da imputare alla terapia.

Sì, perché quando si muove qualcuno in famiglia, anche qualcun altro inizia a muoversi. Questo è molto importante: le coppie arrivano qui e i figli rimangono a casa, non vengono in terapia; poi, quando le cose cambiano, anche i figli hanno enormi benefici.
Però dipende anche dai genitori che riescono a vedere qualcosa di più nei confronti dei figli, senza avere delle pretese o non accorgersi e dar tutto per scontato. Perchè il cambiamento c'è stato, è stata anche gratificata. Dire grazie a volte oppure manifestare soddisfazione vuol dire anche incentivare la sua collaborazione in tutto. D'altra parte, quando uno ha la testa altrove non può notare queste cose.

Appunto! Quando sei dentro nel giro e hai la testa altrove non pensi ai figli, e ai problemi che possono avere, e quindi anche il figlio volente o nolente si allontana. Quando invece nota che l'atteggiamento è diverso lui si avvicina. Io con mia figlia ho un buonissimo rapporto, migliorato molto da qualche anno.

Questo probabilmente, rispetto alla terapia di gruppo … in qualche modo c’è chi è molto scettico a farla, ad entrare, e si trova un po' costretto dagli eventi. Anche perché si pensa: le parole, cosa possono fare! Nel gruppo, attraverso il dialogo e il rispecchiamento, s’impara un’altra lingua, si va nel profondo. Si voglia o no, questa profondità viene portata fuori e attenua lo scontro. Dall'ostilità iniziale, che anche voi avete provato, siete arrivati ad un dialogo; non un dialogo perfetto, perchè non siamo nel mondo perfetto ma siamo su questa terra. Ma certamente dialogo è! Lei lavora, suo marito, che ha l'orto, è in pensione. E ora, me lo dite voi, sono diminuite sensibilmente le ansie, le angosce. Siete genitori più tranquilli, impegnati. Poi, la vita riserva sempre momenti critici. Lei ad esempio andrà in pensione .... Questo potrebbe essere un problema.
Non credo. Un problema perché poi non avrò niente da fare, lei dice?

E' sempre un salto, un passaggio. Farete un orto più grande, probabilmente.
Faremo qualcosa. Probabilmente è la stanchezza del momento …

La sta impegnando tanto il lavoro? … Anche perché lei probabilmente non si tira indietro.
E' vero, non mi tiro indietro. I dirigenti poi non chiedono di più a quello che non fa, ma a quello che fa.

Di solito la palla viene lanciata all'attaccante che segna e non a quello che la butta fuori. E lei è una che non mette fuori la palla….
Ha ragione.

Possiamo dire che avete una situazione che definisco buona. Però ve la siete costruita voi.
Si, sono cinque anni (dal 2003), quasi cinque anni, meno qualche mese. Non sono pochi, anche per il susseguirsi di vicende che ci sono state. Vedere e capire che ci sono anche altri problemi, alcuni anche più gravi … Ognuno ha la sua storia e di storie ce ne sono tante. Quello che mi sento di dire è che ci vuole anche tanta forza di volontà. Ci vuole impegno, forza di volontà e bisogna credere; dire:“ io voglio credere in questo”. Non è possibile iniziare questo percorso … Lei ce l’aveva detto subito, che bisognava venire qui almeno tre anni.

A quel tempo si parlava di tre anni, ma diciamo che la terapia dura quanto basta.
Sembravano un'eternità, i tre anni; invece, quando uno incomincia, … i tre anni sono passati velocemente.

L'eternità è un'altra cosa; ciò che sembra eterno, all’inizio, è un soffio. Anche ciò che accadeva tanti anni fa nei gruppi non è quello che accade oggi. Vi do due termini di paragone, visto che avete vissuto anche momenti di grandissime fughe ecc. Quest'anno, per la prima volta, le persone che sono uscite dalla terapia per finirla, regolarmente superano (se pur di poco) le persone che sono fuggite dalla terapia. L'altro dato è che su 26, 27 nuove entrate nell'ultimo anno solare soltanto 2 hanno abbandonato e tutte le altre persone sono rimaste in terapia. Cosa vuol dire questo? Vuol dire che rispetto ad anni fa i gruppi sono più maturi, non ci sono più le fughe di una volta; è ovvio che c'è sempre un qualche cosa che “non funziona”, ma lo scenario è completamente diverso. Chi oggi arriva in gruppo ha moltissime più probabilità di rimanere, rispetto a uno che era qui nel 1998 o nel 2002. Se ad esempio uno arriva in coppia è difficilissimo arrivare all’abbandono; permane ancora la possibilità di fuga per chi arriva da solo e rimane in terapia da solo. Tutto questo ci dice che contano le condizioni di arrivo, ma contano se la struttura è formata, se il lavoro è portato avanti da anni, se i cambiamenti sono visibili, se le persone uscite per fine terapia aumentano di anno in anno.
Sono complementari l'uno all'altra …

Terapie alternative, non le conoscevamo.

Quello che lascia perplesso è che stanno cercando di far passare un messaggio di questo genere; le pubblicità dei giochi crescono a vista d'occhio. Queste fandonie del superenalotto che viene portato non si sa come a cifre iperboliche … e quindi che qualcosa sotto c'è, ma nessuno ci mette mano. Il messaggio preoccupante è questo, cioè che è giusto che la gente giochi perchè la gente deve trovare uno sfogo. Se poi il problema diventa patologico ci sono le strutture per curare. Questo è il messaggio che secondo me è pazzesco: “tu gioca, se poi ti succede qualcosa le strutture ci sono”.

Il problema è che le strutture non ci sono.
Poi in realtà sappiamo che non è così. Noi siamo fortunati perchè qui abbiamo questa e ce ne sarà qualche altra a Bolzano, ecc ... Come fai a far passare questo messaggio qua? Poi la gente ci crede ed è bombardata da questi messaggi.

… Poi c’è il rischio di contatti errati.
Si fa passare questo come un qualcosa per far passare il tempo, tanto per divertirsi, tanto 1 euro, 2 euro … cosa vuoi che sia? … E poi, se diventa patologico ci sono le strutture per farsi curare. Ma nessuno parla dei danni che ne derivano.

Si vendono sogni in cambio di contanti …
A loro interessano i 60 miliardi di Euro che incassano.

Qui a me invece interessa l'esito terapeutico, l'uscita dalla terapia, il fatto che le persone che vengono qui raccontino questi cambiamenti. E' come nelle aziende: se uno ha l'obiettivo di costruire macchine, dopo 30 anni di attività, vengono fuori macchine sempre più sofisticate da quell'azienda. Non vengono fuori aranciate, pizze ecc. ecc. E' talmente chiaro: se c'è un'azienda che fa motori per nave, non si sogna di dire che nello stesso stabilimento fa patatine fritte, specie se i motori funzionano e vengono richiesti. Le patatine fritte le faranno in mensa, per le maestranze.
Loro ti dicono “gioca, che ti diverti e puoi vincere 60 milioni di Euro!”, ma non ti dicono quante migliaia di famiglie ogni anno vanno in rovina.

Questo, credo, detto da voi è molto importante; detto da chi è uscito da tutto questo disastro, da chi ha fatto tutto questo percorso, che prima era rimasto impigliato nel vortice e poi ha fatto un percorso lungo e ne è venuto fuori. Voi avete diritto di dire delle cose importanti; mi pare che tutte le persone che hanno fatto questo percorso dicano che il gioco responsabile è una grande fandonia.
… E noi tecnici dovremo adeguarci a questa lettura pragmatica, di buon senso.

Certo.

Mi pare che lei sia molto arrabbiato su questo; lei è uno che gira il mondo….
Si, ma molto meno. In America è un pezzo che non ci vado più. Se mi muovo, giro in Europa. In America … mi piacerebbe ritornarci, come turista, per fare un giretto. Ho visto delle cose molto belle. Recentemente le nostre piccole vacanze ce le prendiamo; siamo stati a Malta in giugno e abbiamo visto delle belle cose.

A Malta c'è un casinò.
Ce l'avevo di fronte alla finestra dell'albergo ed era bello grande.

Io ero in Sicilia e da lì partono … e là arrivano. Era tutto sotto controllo, lei guardava il casinò dalla finestra ed io la controllavo con il binocolo.

Ma il colmo era che insieme ai biglietti aerei c'erano anche i biglietti per il Casinò. Allora abbiamo avuto dei problemi, perchè eravamo in compagnia dei nostri amici e quindi la sera in cui avevano programmato la serata in Casinò avevano dato per scontato che noi partecipassimo e sono stati molto insistenti quando gli abbiamo detto di no. Alla fine mi sono arrabbiata e ho detto basta, non chiedetemelo più e non ho nessuna spiegazione da darvi.

L'unica cosa che si può dire è che quelli sono luoghi pericolosi. Io li considero pericolosi, come attraversare una strada ad alta densità di traffico senza strisce pedonali e quindi preferisco fare altre cose.
…”Ma dai vieni! Stai lì e guardi!”.

Certo e ovvio. Quindi queste sono delle piccole prove.
Mi sono meravigliata un po' dell'insistenza, anche perché io non insisto mai con gli altri, ma chiedo.

D'altra parte il biglietto ve lo danno sull'aereo, ci sono le pubblicità e quelle persone questo problema non ce l'hanno; è anche una scoperta. Quindi magari non capiscono certe cose.
Ti regalavano un bonus di 10 euro.

… Ma mi hanno chiesto se avevo dei problemi e io ho risposto di sì. Così … ho risposto di non chiedermi più niente.

Ma sa, anche questo … eravate in amicizia. La prossima volta dica che quelli sono luoghi che possono essere pericolosi … e perché dobbiamo correre dei pericoli? Non ci interessa! la Bibbia dice che i soldi bisogna conquistarseli con il sudore della fronte e quindi l’azzardo non ci interessa. Non credo che la mancata entrata al casinò vi abbia rovinato la vacanza. Invece ho saputo che al rientro c’è stato un incidente e un susseguente blocco stradale….
Sì, c'era questo problema; perciò il pullman era arrivato molto tardi invece di arrivare in orario.

Siamo arrivati a Bologna in perfetto orario, solo che siamo rimasti all'aeroporto ad aspettare il pullman per ore e ore.

Sì, per tutto il resto … il viaggio è stato molto bello e anche interessante.

Che cosa si vede a Malta?
Tutto quello che ha fatto il cavaliere di Malta. Si vede la vecchia capitale, che è stupenda e splendidamente conservata: la medina. Si vedono le coste, c'è un mare incredibile di un azzurro con i fondali favolosi, con i coralli che si vedono a vista d'occhio. Si vede Caravaggio, ci sono due dipinti dentro il duomo che sono splendidi. Il duomo conserva un pavimento che loro dicono che sia il più bel pavimento del mondo e non stento a crederlo. E' fatto tutto in marmo cesellato e sotto ogni lastra c'è un cavaliere di Malta sepolto. Poi ci sono le tombe dei grandi maestri. Però quel pavimento lascia veramente il segno.

Non si può entrare con i tacchi . E' un'immagine spettacolare.

Poi a Malta ci sono 400 chiese e quindi devo dire che è bella. C'è questo fascino misto, occidentale e arabo. Si sta molto tranquilli; la gente è tranquilla.

Quanti abitanti ha Malta?
Circa 370 mila, diceva la guida, se non ricordo male. E' stato piacevolissimo; adesso faremo un giro in Valtellina. C'è questo trenino rosso, che va su, in mezzo ai ghiacciai …

Insomma, vi state anche divertendo. Se anche lei fosse in pensione vi potreste divertire di più …
In tal caso io sarei un grande viaggiatore, lei è un po' più pigra.

Il rischio è che diventando nonni magari i viaggi non si fanno più.
L'ho detto infatti a mia figlia, che aveva un fidanzato e poi si sono mollati. Ma ne troverà un'altro. L'importante è che abbia finito le sue cose e poi si vedrà.

Quanti anni ha vostra figlia?
Ventisei.

Ha una serenità familiare e può permettersi anche di preordinare il futuro, che è difficile per i giovani. Per loro è molto difficile perchè non ci sono più le offerte di 30 anni fa, quando uno comunque trovava subito un lavoro. Adesso è tutto più difficile. Ma ogni generazione ha le sue sfide…
Abbiamo la fortuna di vivere in una zona dove le industrie sono numerose, ma il momento è quello che è. Lo sto vivendo adesso, nel lavoro di consulenza che faccio. Sono momenti difficili.

Lo sento anche nei gruppi: si parla di un calo delle piccole aziende del 30-40%.
A settembre la vedo male, ce ne saranno parecchie che chiuderanno. La vedo brutta.

Lei è pessimista.
No, non sono pessimista. Io non sono mai stato pessimista, però vedo la realtà. Vedo tanti nomi che storicamente sono sempre stati tranquilli e corretti che hanno grosse difficoltà con i pagamenti, perché le banche non li sostengono … Quindi diciamo che probabilmente sarà un autunno caldo.

Facciamo questo paradosso: quando siete arrivati qua voi, eravate voi “in un autunno caldo” e fuori comunque le cose andavano meglio; adesso invece per voi le cose vanno bene e fuori non vanno. Quindi … non c'è mai pace! Forse arriveranno gli anni in cui ci sarà maggior equilibrio. Anche io faccio 500 sedute all’anno e devo trovare un equilibrio tra la mia vita, la mia famiglia e il lavoro. Forse sono tra quelli che rischiano di più. Che idea vi siete fatti dello psicoterapeuta?
Io lo paragono al conduttore del treno, all'autista del pullman.

Insomma non bisogna portare il mezzo nel burrone.
Uno che ha l'esperienza per portare avanti un mezzo complicato e non semplice. Perchè un treno non si dà in mano al primo che arriva. Per guidare un pullman ci vuole una patente di grado superiore quindi … Ma nonostante questo, i disastri purtroppo ci sono. Questo bisogna dirlo.

Con questo treno e con questo carico che noi abbiamo, è bene che il terapeuta non vada nei centri abitati, che stia fuori, che vada piano. Gli eccessi di velocità sono pericolosi. Lei che idea si è fatta?
Ammiro la sua pazienza, la capacità di cogliere le situazioni, di capire. Forse con l'esperienza che ha lei con tutti questi vissuti, con tutti questi gruppi, in tutti questi anni, sarà probabilmente una cosa spontanea capire immediatamente le cose … Perché non sempre c'è soddisfazione nel condurre la cosa, a volte ci sono delle complessità tali che se fai un passo avanti, poi ne fai 3 indietro. E' una battaglia continua.

Anche l'autista impara dalla strada, dal traffico, dai segnali. Poi le strade si assomigliano ….
Potrei mettere vicino un po' anche la figura del confessore, nel senso che è uno che ti ascolta e poi ti dice qualcosa e ti indirizza. Ribadisco quello che ha detto lei: ci vuole una pazienza infinita, perchè non è che uno come lei ascolti una persona al giorno. Ascolta 10 gruppi alla settimana, di 15 persone; già, ascolta 150 persone, che non è poco. Ognuno ha le sue cose da dire, naturalmente se vede che dall'altra parte uno non recepisce, non ascolta o ascolta malvolentieri, uno dice “che cavolo vengo a fare io qua?”. Quindi la figura dello psicoterapeuta è importante. Uno che ascolta 150 persone alla settimana non è da poco.

Tornando a voi, mi pare che tra il 2003 e oggi, che siamo nel 2009, tra la prima seduta e quest’ultima potremmo usare l’espressione “due sedute diverse come la notte e il giorno” ...
Noi siamo arrivati qua; io mi sono accorta del problema il 22 giugno. Perciò se abbiamo iniziato la terapia a fine giugno, è stata una cosa fresca, quindi non ci sono stati ripensamenti, perché probabilmente lui sapeva di questa terapia, sapeva di questo centro. Per cui è partito da lui e mi ricordo che per trovare lei mi ero rivolta al Sert della mia azienda. Mi ero rivolta ai suoi colleghi per conoscere il suo indirizzo. Quindi è stata una cosa molto immediata. Il problema è talmente grosso che se t’illudi di portarlo avanti da sola e risolverlo da sola … che cosa fai? Tronchi tutto e ognuno va per la sua strada? E' quella la soluzione? … E invece, se uno pensa se la sua famiglia la vuole o non la vuole … se la vuole, come fa a mantenerla?

Quindi si può anche dire che questo percorso ha avuto anche diversi momenti di difficoltà, ma anche momenti piacevoli. Non è stato solo un calvario.
Poi invece conosci altre persone che magari, viste dalla gente comune, sono visti come dei falliti. Invece tutti noi abbiamo delle cose buone da dire, qualcosa di buono da trasmettere. Quello che volevo aggiungere è che non basta dire basta. Io avevo preso coscienza che da solo non ce la facevo, ma non è servito assolutamente a niente, perché poi continuavo ad andare al Casinò.

Non dipende solo dalla volontà individuale; negli stati di dipendenza viene meno il libero arbitrio. Per questo io non lavoro con il singolo portatore del sintomo, ma con la famiglia. All’inizio sembra paradossale; è come se a una persona che ha sempre vissuto nel buio venisse comunicato che arriverà la luce. Ma lui la luce non l’ha mai vista; non sa cosa sia. Poi basta aspettare e quello che appare come mostruoso alla fine viene accettato … e diventa meno mostruoso, assumendo tonalità tutt’ altro che drammatiche.
Uno può anche arrivare ad avere 24 ore di luce perchè va al Polo Nord.

Beh, non pretendiamo tanto. Accontentiamoci di alcune ore. Però non è detto che qualcuno non arrivi al Polo. Direi che potremo chiudere con questa fantasia….siete d’accordo?
Si.

Si.






Barbara

Fine terapia dicembre 2008

Dott. De Luca
Sig.ra Barbara (sorella di un ex giocatore)


Bene, lei ha iniziato la terapia nell'ottobre del 2003 e l'ha chiusa in dicembre del 2008.
Si.

Sono passati 5 anni e ci sono diverse particolarità: la prima è che lei è la sorella di un ex giocatore d'azzardo, il quale è ancora in terapia e spiegheremo perché, l’altra è che lei è uscita dalla terapia. Volevo sentire alcuni suoi commenti a distanza di 3 mesi in merito alla conclusione della terapia e al gruppo. Dica tutto quello che crede con tranquillità.
Devo dire che il gruppo mi manca. Questo glielo avevo già accennato. Più che altro, da me è stato vissuto come un punto di riferimento, specialmente nella gestione delle mie difficoltà personali, sia familiari che lavorative. In particolare per la gestione dell’ansia, che è una cosa di cui soffro da sempre. Il fatto di avere un gruppo, di avere qualcuno con cui condividere certe cose, anche se non approfonditamente, perchè non sempre si entra nel dettaglio, a me serviva molto. Adesso mi gestisco le cose in un'altro modo, e comunque sto abituandomi ad uscirne. Dopo aver trascorso 5 anni in un gruppo di terapia in cui ci si parla e ci si confronta e poi, più o meno improvvisamente, si perde questo punto di riferimento, è chiaro che per i primi tempi si prova un po' di incertezza. Quando ho iniziato, mi ero chiesta come mai il percorso era così lungo, come mai dovevo parteciparvi anch’ io, che non ero la diretta interessata al problema. Per me era una cosa assurda. Devo dire che a volte il fatto di venire qui, mi creava più ansie di quelle che avevo, però mi ha aiutata molto nella gestione dei problemi di mia figlia, un po' meno nel rapporto di coppia. Questa è una cosa che magari sarebbe successa lo stesso, perché spesso certi problemi si assestano da soli. Secondo me, quello che si pensa quando si è fuori è che il discorso (entro nel dettaglio dell’azzardo, del sintomo) sia una cosa legata esclusivamente alla persona, di cui si deve curare solo il sintomo (come smettere di bere o smettere di fumare). Invece il sintomo è una cosa che veramente non c'entra niente. Questo è quello che ho capito. Potrebbe avere qualsiasi altra manifestazione, completamente diversa e secondo me, quello che si vede del sintomo c'entra veramente molto poco rispetto a quelle che sono le problematiche e le difficoltà della persona che viene in terapia. Quindi questo è quello che ho visto in particolare e poi si impara a vedere e a leggere nelle persone, a capirne le dinamiche. Io, che lavoro con il pubblico, riesco a percepire e filtrare molto bene le emozioni della gente con cui ho a che fare, le loro ansie per esempio. Ci sono molte cose che altrimenti non si capirebbero. In questo mi è servita molto la terapia.

Allora mi pare che ci siano dei paradossi che lei conferma. Il primo è il chiedersi perché, se il problema ce l'ha lui, devo venire io ? Un altro è perché la terapia deve essere così lunga, ben 5 anni, anche se poi, si tratta solo di due ore la settimana. Un altro paradosso è che quando si esce dalla terapia, per 2 o 3 mesi il gruppo manca. Quindi cambia completamente la prospettiva. E' una specie di rivoluzione copernicana. A me pare che questo dipenda dal fatto che inizialmente il gruppo non significa niente, poi, dopo 5 anni, fa ormai parte di noi, esiste. Si è creato un rapporto affettivo. Una goccia alla settimana ha fatto in qualche modo riempire la caraffa.
C'è questo paradosso, nel pensare che il problema non è mio e non mi tocca. Non è così, come dicevo prima, il sintomo è quello che si vede all'esterno della persona. Si dice: “Non è possibile che questa persona sia così stupida, che non capisca che cosa sta facendo”. Sono atteggiamenti che sono visti e giudicati anche male esternamente. Poi ci si rende conto che non è così. Ci si rende conto che la difficoltà non ce l'ha solamente la persona che viene qua, ma le sue difficoltà sono più o meno le difficoltà di tanti altri. Quindi è molto importante sentire e scoprire che anche gli altri hanno le stesse ansie che hai tu, le stesse difficoltà, le stesse paure, gli stessi trascorsi che possono essere di vario genere, le stesse dinamiche familiari. Ci sono molte cose che ricorrono fra persone che pur hanno delle storie completamente diverse, sia familiari, sia economiche. Al gruppo infatti partecipano persone molto differenti tra loro: chi è un semplice operaio che viene da una famiglia umile, chi ha una laurea, chi è una persona di cultura. Ci sono persone che economicamente stanno bene, non hanno problemi economici, e questo ti fa capire che, alla fine, anche chi ha tanto denaro ha le tue stesse difficoltà. Per assurdo chi ne ha poco a volte sta meglio di chi ne ha molto. Alla fine si capisce che i problemi hanno in realtà origine da noi, dal nostro modo d’essere e non dalle cose esterne. Quindi si impara un po' ad accettare i propri limiti, a leggerli in un modo diverso, a capire che, in fin dei conti, non è sempre colpa nostra quello che si fa, ma forse c'è qualcosa dentro che a volte ci spinge ad agire in un certo modo senza sapere perchè. Una cosa bella del gruppo è che ci si rispetta, nel gruppo uno può dire quello che vuole e non viene giudicato, mentre fuori si subisce molto il giudizio degli altri, nessuno si sforza di capirti. Questo mi da molto fastidio, si giudica con molta facilità all'esterno. Tutti noi in genere tendiamo ad avere comportamenti razzisti e discriminanti nei confronti delle persone che non pensano come noi o che non vivono come noi. Questo è un modo un po' generalizzato nella nostra società, che ci impone di uniformarci a degli standard. Nel gruppo si vede che siamo come una grande famiglia, insieme ma completamente diversi. Da quando sono uscita in questi 3 mesi ho sentito due persone, semplicemente per sapere come stavano.

E' interessante quello che lei dice. Qui andiamo a ruota libera, ma parliamo di cose molto profonde e molto utili sia a me sia a chi sentirà questa registrazione, che sono dei colleghi. Lei mi pare che abbia in testa il gruppo e non i singoli.
Prima di tutto è il gruppo e poi è una terapia di gruppo. Non ho fatto molte esperienze individuali, oltre a qualche seduta, più che altro per capire i problemi degli altri, anche in questo caso andavo ad accompagnare. Non dico questo perché mi sento superiore, non è che io non abbia problemi e gli altri si. Semplicemente mi sono trovata coinvolta da altre persone di famiglia, ad esempio ho parlato qualche volta con degli psicologi per mia figlia. Quella mia individuale è stata un'esperienza forse negativa nel mio caso. Perciò inizialmente mi sono approcciata al gruppo con diffidenza, nonostante l'abbia scelto io, e avessi fiducia nella terapia perchè ne avevo sentito parlare bene. Ma ero diffidente e poi mano a mano che si va avanti ci si rende conto che cambia.

Io tornerei al concetto del gruppo, mi pare che sia sentito come un magma unico, un cerchio. Poi ci sono le singole persone che lo compongono, che sono degli elementi fondamentali, perchè senza le persone non ci sarebbe il gruppo. Ma è fondamentale che emerga questa situazione, questo cerchio.
In realtà è il gruppo che fa questo, io ho in mente tutto il gruppo; ci sono alcune persone con cui ho più affinità (non voglio dire culturali ma ideologiche). Poi ognuno di noi cerca il legame con la persona con cui si sente più compatibile. Anche fuori succede questo. Nel gruppo c'è qualche persona con cui ho maggiore intesa, ma per me è il gruppo che conta, non i singoli.

Lei diceva che si è avvicinata alla terapia, ma non aveva molta fiducia, perchè pensava che con le parole non si potesse fare molto. Poi è successo quello che è successo, c'è stata questa specie di rivoluzione copernicana. Lei dice che ha abbassato i livelli d'ansia, suo fratello sta meglio e ciò che è interessante ( devo dire non succede molto spesso anche quando frequentano la terapia due fratelli) è lei ad andare via perchè suo fratello ha iniziato una relazione stabile con una ragazza e questa ragazza l'ha sostituita nel gruppo. Mi sono fatto molto spesso questa domanda: “Abbiamo fatto qualche violenza a qualcuno facendo questo? Siamo stati abbastanza bravi nel tirare l'elastico o abbiamo rischiato di romperlo?” Considerando che abbiamo preparato con mesi di anticipo tutto questo, vorrei che lei mi riassumesse questa storia, come siete arrivati qui ecc.
Quando siamo partiti con mio fratello, a lui non andava bene nessuna ragazza, specialmente le ragazze di qui. C'era questo mito dell'estero. Le ragazze straniere sono più brave, più gentili, migliori insomma.

Le ragazze del terzo mondo.
Dei paesi che hanno uno stile di vita molto più povero del nostro, quindi con meno esigenze, meno pretese,con un carattere più debole se vogliamo.

Suo fratello è entrato in terapia che aveva 26 anni, quindi molto giovane per quella che io considero l’età di ingresso nella terapia.
Ma con delle idee molto radicate all'epoca.

Con un sintomo che era molto persistente.
E' successo anche che ci sono stati degli episodi durante il primo periodo della terapia, episodi relativi all'azzardo.
Lui riteneva che qualsiasi ragazza di qua fosse troppo sofisticata, esigente, forse queste affermazioni dipendevano anche da quelle paure che io noto anche in altri ragazzi con cui parlo e che non hanno un legame fisso. C'è questo idealizzare la donna e così tutte le ragazze che sono in giro non rispecchiano questi ideali. Quindi c'era questa idea di una donna brava, buona, gentile che lui qui non vedeva e quindi ha mitizzato la “straniera”. Poi piano piano ha acquisito maggiore fiducia in sè, ne parlavamo anche ieri sera quando siamo andati a mangiare qualcosa con lui e la sua fidanzata. Parlavamo di come si sono conosciuti ad un corso d'inglese. E’ significativo già il fatto di aver scelto questo corso non vicino a casa, ma più lontano, proprio per conoscere delle persone diverse. Fare questo corso è stata la sua prima apertura. Poi conoscere questa ragazza è stata una conseguenza. Per ora hanno iniziato a frequentarsi e poi vedremo. Io dico sempre che bisogna vivere una storia come se si dovesse stare assieme 100 anni, poi si vedrà. Bisogna iniziare a conoscersi e poi sarà quello che sarà. L'importante è viverla, la storia, e viverla bene.

Come ha vissuto il cambio che c'è stato?
Non mi sono sentita spodestata, anzi ho fatto volentieri questo cambio. Non sono un tipo permaloso.

E' stata la realizzazione del progetto che avevamo programmato.
Io faccio un lavoro in cui spesso devo mettermi in discussione, devo accettare dei cambiamenti, degli aiuti esterni quando sono in difficoltà. Sono una che normalmente li accetta molto volentieri. Penso sia stupido non confrontarsi e non accettare un cambiamento di qualsiasi tipo, quando è necessario. Le cose cambiano nel corso della vita, in tutti i campi. Non l'ho visto come un essere buttata fuori, anzi mi ha tolto l'impegno di venire qui.

E' un impegno che comunque ora le manca. C'è ancora il lutto da elaborare. Sono passati 20 minuti e non abbiamo ancora parlato del sintomo dell'azzardo. Sembra che debba essere io a doverlo puntualizzare, è come scomparso.
Non c'entra niente, come nei problemi di mia figlia. Mia figlia ha avuto dei problemi alimentari, qualcuno la chiama anoressia, ma in realtà c'era un po' di tutto. Secondo me il suo malessere non lo si può inquadrare. E' chiaro che come non posso dire di essere tranquilla al 200 % per mio fratello così non lo sono per mia figlia, comunque ci sono persone che sono portate ad avere degli atteggiamenti, non dico proprio distruttivi, ma tendenti a una certa fragilità e insicurezza.

Anche questo è interessante, perchè noi abbiamo affrontato spesso in gruppo, pur non conoscendo sua figlia, il tema specifico e io penso (non credo sia una casualità questo me lo deve dire lei) che la terapia sia servita a suo fratello ma anche molto a sua figlia. Da quando lei ha iniziato la terapia, sua figlia ha avuto un notevole miglioramento.
Penso che chi vive accanto a delle persone che hanno dei problemi, tendono a peggiorare il loro comportamento, il loro modo di fare, perchè sono molto preoccupate e di conseguenza si comportano in modo poco tranquillo e rischiano di fare degli errori che anziché aiutare la persona in difficoltà le provocano danno. Se vedo che lei non mangia, che fa delle cose strane, che non va a scuola, inizio subito a insultarla. Magari inizialmente ci provo con le buone, poi vedendo che non serve, comincio a sgridarla e poi si innescano dei meccanismi per cui la persona in difficoltà si sente ancora più in difficoltà. Quindi si chiude il dialogo, lei non mi dice quello che ha e tutto riparte, come delle reazioni a catena. Se io invece riesco a parlarle con serenità, invece di criticarla e riprenderla perchè non mangia o non fa quello che dovrebbe, magari perché mi sento in colpa per il suo comportamento, se non c'è questa tensione, lei diventa più tranquilla. Questa è la spiegazione che mi sono data io. Vedo invece mio marito che non ha seguito questo percorso e quando lei non mangia si arrabbia.

Qui tocchiamo un altro punto. Io lavoro molto con le coppie dove c'è un giocatore o una giocatrice d'azzardo, dico che vengano entrambi, marito e moglie. Nel suo caso doveva venire lei con suo fratello. Suo marito non sarebbe comunque mai venuto in terapia. Però noi ci siamo posti spesso questo problema: uno viene in terapia e l'altro rimane a casa e questo provoca delle disfunzioni in coppie che hanno già delle difficoltà e queste possono avere conseguenze molto pericolose. Quindi le chiedo: nella sua coppia il fatto che lei sia venuta in terapia che cosa può aver provocato?
Senza dubbio c'è un cambiamento per chi partecipa alla terapia, non si può dire che non sia così, almeno nel mio caso. C'è un allontanamento.
La partecipazione al gruppo di terapia per chi non vi partecipa (in questo caso mio marito) viene vista come un allontanamento, un trascurare la famiglia, oppure si teme un lavaggio del cervello, come mi veniva detto diverse volte. Chiaramente, guardandola da fuori, uno che sta 5 anni in terapia può sembrare che si sia fatto abbindolare o che sia entrato in un meccanismo per cui diventa dipendente dalla terapia stessa. Queste sono le accuse che vengono fatte più di frequente. Nel mio caso c'è stato un allontanamento, forse ci sarebbe stato comunque, c'erano delle cose che non andavano bene prima e che non vanno bene adesso. Noi abbiamo agito sempre molto separati nelle nostre cose, nonostante siamo una coppia unitissima perchè a casa siamo sempre insieme. Però lo stare assieme a casa non significa stare insieme come coppia. Io ho sempre vissuto molto intensamente il mio rapporto di coppia e forse per questo ci sono state sempre delle difficoltà. I figli sono stati messi da parte, non riguardano la coppia non ne hanno mai fatto parte integrante, la coppia era una cosa, i figli un’altra. Il fatto di essermi avvicinata di più a mia figlia dopo questo percorso terapeutico, ha portato ad un allontanamento di mio marito. Chiaramente il tempo che dedicavo a mia figlia, specialmente quando i problemi erano più gravi, era tantissimo. Poi ancora di più quando sono venuta in terapia, perchè portavo via altro tempo alla famiglia. Paradossalmente la terapia ha portato del bene ma ha avuto anche conseguenze negative, come l’allontanamento. Forse è anche fisiologico, visto che sono 30 anni che stiamo assieme.

Possiamo dire che conclusa questa terapia di gruppo, rimane ancora molto materiale su cui lavorare e riportarlo nella coppia. In modo che voi due possiate in qualche modo ritrovarvi, o piuttosto, stare meglio, perché in realtà non vi siete mai persi di vista.
Diciamo che le basi ci sono, ma ci deve essere la volontà da parte di tutti e due, perchè tante volte si vuole mantenere la routine perché si teme che mettere in discussione tante cose possa essere anche deleterio. Questo è il dubbio più grosso, non è la stessa cosa che capita con i figli. Con i figli rischi di più, perchè comunque vuoi che tuo figlio superi le difficoltà, nel rapporto di coppia è diverso, perché si rischia di rompere un equilibrio per quanto precario e temi che magari dopo ci si ritrova uno da una parte e uno d'altra. Forse è meglio non discutere più di tanto, lasciare che le cose vadano un po' così, e sperare che col tempo tutto si aggiusti. Però mi sono confrontata molto con lui durante il mio percorso terapeutico, ho trovato anche il coraggio di dire delle cose che non avevo mai detto prima. Io sono una che normalmente sta zitta, cioè sono una che parla molto quando è fuori e poco in casa e anche lui parla molto poco in casa. Cioè si parla di cose magari poco importanti e si evitano confronti più seri. Di solito lui usciva piuttosto che discutere. Ora sono riuscita anche a parlargli, i meccanismi in una coppia sono molto diversi rispetto a quelli con i fratelli o i figli.

Quindi lei in terapia ha in qualche modo rivisto il rapporto con suo fratello, con la sua famiglia d'origine e questo le ha fatto anche capire le differenze tra la famiglia d'origine e la famiglia costruita. Lei ha parlato anche del gruppo come una specie di setta, se ci vai rischi di diventarne dipendente. Credo che questa immagine non sia del tutto errata, per cui entrare in un contesto possa essere, in fondo rischioso, si passa un confine e si vanno a toccare dei punti interni molto pericolosi. Se non c'è un luogo terapeutico adeguato i rischi sono molto alti.
Lei inizialmente ha avuto dei dubbi ma poi nel proseguo della terapia ha avuto la sensazione che ci fosse questo intervento, certamente funzionale, ma anche il rispetto per quelle che sono le dinamiche che si instaurano in un gruppo di terapia. Io ho sempre posto l'accento sul fatto che ci troviamo in un gruppo di terapia e non in un gruppo di auto-mutuo aiuto. Ci troviamo in un gruppo dove c'è un professionista che tira le fila, in un gruppo che ha costruito in centinaia di sedute il suo essere gruppo. Lei che sensazione ha avuto? Cosa ne pensa?

Io penso che dipenda molto dal terapeuta, che le cose non vadano viste in generale ma parlando di quel gruppo, di quel terapeuta, con quelle persone. Nel nostro gruppo, l'unico concetto che è stato ribadito sempre è quello della partecipazione e della puntualità nella partecipazione. Questa è una cosa di cui sono veramente convinta; io ho sempre partecipato alle sedute, non solo una volta, due o tre. … Perché è giusto così, questa è una regola di vita. Non ho visto nulla di così costringente, non vedo il discorso della dipendenza dal gruppo nella maniera più assoluta. Non sono mai stata obbligata, anche subdolamente o cosa. Io sono venuta volentieri e da sola ed in piena libertà. E' chiaro che è un percorso e come tale deve essere fatto bene; questo comunque dipende dalla bravura del terapeuta, che deve mantenere comunque una certa distanza da tutti.

Che cosa intende per “una certa distanza?”
Deve essere confidenziale, ma fino ad un certo punto, perché non andiamo lì a mangiare o a bere. Quando c'è da dire una cosa, deve essere detta davanti a tutti, anche scontrandosi, e uno deve essere messo in grado di pensare a se stesso, ai suoi comportamenti al suo modo di fare anche senza essere direttamente coinvolto. Negli argomenti si parla di diverse cose e uno deve leggere le sue particolarità in quello che si dice. Sono esempi banali, ma se uno parla del fatto che lavora troppo, chiaramente il terapeuta fa notare quanto ovviamente gli altri si specchiano in lui e si chiedono: “… e io quanto lavoro? … e perché?”. E' questo il meccanismo del gruppo: uno si specchia nell'altro senza entrare troppo nel particolare. Comunque l'opera più grande è che ogni persona fa emergere quelle che sono le sue caratteristiche personali e individuali. Per questo il terapeuta è bravo, perché ti porta a pensare in un certo modo.

L'importante è che il terapeuta non porti i suoi problemi personali nel gruppo …
Un esempio è una cosa: nell'auto-aiuto penso sia così perché tutti dicono “oggi ho fatto questo o quest'altro”, ma alla fine non c'è nessuno che media e che dice “torniamo a quelli che sono i problemi veri della persona” … e non gli atti in sé.


Questo è molto positivo perché tiene sveglio il gruppo. Ci sono anche dei momenti in cui non si dice niente; poi si riparte. Comunque ci sono anche delle situazioni molto pesanti; … ci sono dei lutti. In tutti questi anni è chiaro che si vivono delle situazioni legate ai lutti, ai matrimoni o ai bambini. Comunque è un percorso di vita ed è chiaro che non bisogna focalizzare tutta la tensione su un semplice argomento e discutere soltanto di un argomento. Si portano diverse cose, o testimonianze, e ognuna di queste prende quel “pezzettino” che vede di sé.

Sembra una cosa molto semplice, quasi semplicistica, e come tutte le cose semplici è la più difficile.
Quello di rimanere fuori, ma non del tutto, da parte del terapeuta; per noi, quello di rimanere dentro, ma non dentro del tutto. A volte ci si chiede: “parlo troppo? forse devo lasciare spazio anche agli altri …”. In questo aiuta anche il fatto di essere in tanti, perché si rispetta anche i tempi degli altri; si cerca di dare spazio a tutti. A volte ci si sente in colpa per aver parlato troppo dei propri problemi. Questo insegna anche il fatto di essere in gruppo: aiuta anche condividere le difficoltà di tutti.

Io lavoro con gruppi mediani, si arriva anche fino a 20 persone. Lei ritiene che, più che lo spazio, un gruppo mediano con 15, 18, 20 persone al massimo possa in qualche modo essere produttivo o vede in questo qualche cosa che non fa produrre? Pensa che i gruppi dovrebbero essere piccoli gruppi di 6, 7, 8 persone?
No, non vedrei un gruppo di 30, perché non riuscirebbe a dare spazio a nessuno; un gruppo di 15 persone lo vedo più positivo di un gruppo di 6. Questo secondo me, perché in questo tipo di terapia il fatto di avere più spunti, più argomenti di cui parlare, secondo me è importante. Il fatto di prendere in considerazione un gruppo di 6 persone diventa quasi … non dico come una terapia individuale, ma poco più. Diventa quasi come un gruppo di amici, più che un gruppo di terapia. Io la vedo così, dai 13 ai 20 può essere tranquilla la cosa, perché tutti hanno 2 ore a disposizione, tutti hanno lo spazio di dire qualcosa e magari uno parlerà di più una volta e di meno la volta dopo. Questo perché non sempre abbiamo grandi cose da dire, oppure non ne abbiamo voglia. Perché se uno vuole può stare tranquillo ad ascoltare per 2 ore e la volta dopo parla per mezz’ora. Non vedo questo; secondo me, o si parla di terapia individuale, o di coppia, oppure, se si parla di terapia di gruppo, per me è sopra le 15 persone.

Rispetto a degli aspetti legati: siamo in gruppo, non c'è la privacy, se ne parla fuori ecc., ecc. … Che cosa mi dice rispetto a questo ?
Io non ho mai provato disagio. Ci sono ovviamente delle cose di cui si prova disagio; penso che non si parlerebbe di queste cose neanche a 2, quindi se ci sono cose di cui si ha difficoltà a parlare, sono cose di cui non si parlerebbe neanche da soli. Non mi sono mai vergognata e non temo.

Rispetto alla terapia individuale e alla terapia di gruppo: … questi sono gruppi semiaperti ed è anche vero che ci sono delle persone - poche devo dire, ma qualcuna in più da quando lei ha iniziato - che hanno abbandonato la terapia. Sono persone che entrano e poi scompaiono. Ha dei fantasmi rispetto a queste persone … che possono aver portato via dei segreti anche suoi ?
Non mi sono mai posta questo problema, del fatto che potessero raccontare fuori delle cose. E' chiaro che si viene avvertiti all'inizio, ma è anche vero che se uno vuole, può anche parlarne fuori. Non mi sento defraudata dalle mie notizie personali che possono essere usate fuori.

Bene, sono passati 45 minuti e non abbiamo ancora parlato di azzardo; è un paradosso, forse è il caso di dare un accenno e voi siete venuti qui per questo, altrimenti non sareste mai venuti a Campoformido.
Effettivamente è così. Se non ci fosse stato il problema dell'azzardo non mi sarei assolutamente posta nessun tipo di problema.

Quindi, quando io vi dissi nella prima seduta che avremmo dovuto ringraziare questo sintomo e fargli un monumento fra 5 anni, ho detto forse una cosa sciocca?
Non è assolutamente una cosa sciocca, perché le difficoltà vengono sempre per aiutare. Cioè, dalle difficoltà si impara molto. Io l'ho visto all'inizio: quando ho scoperto la cosa di mio fratello sono rimasta sconvolta. La mia reazione è stata subito: “disgraziato, perché butti via i soldi di casa… ecc. ecc.”, nel senso che disprezzavo il suo atteggiamento. Non capivo come mai succedesse, tant'è che sono stata da lei 1 anno prima, … e poi dopo 1 anno è stato lui a chiedere aiuto. Io continuavo nel frattempo a dire che era il caso di ricorrere all'aiuto di qualcuno, anche perché avevo visto che con mia figlia avevo già chiesto aiuto e che da soli non si riesce a risolvere il problema. Che sia il gioco o che sia la depressione, secondo me da soli non ci si arriva. Quindi molte volte sono venuta con rabbia, devo dire, ma sono stata contentissima quando sono riuscita a portare qui mio fratello. Sono stata felice quando mi ha detto: “Chiama, che voglio venire”. Poi dopo il 1° colloquio non era così tanto contento. Chiaro che per una persona è difficile riconoscere la propria difficoltà … e pensare che c'è qualcuno capace di risolvertela. Questo perché pensi di farcela da solo e …”posso smettere quando voglio”, diceva; è stato anche 6 mesi senza giocare! Invece non è vero; il sintomo è servito a questo: a farmi entrare in terapia. Da lì in poi, non si è parlato quasi mai del sintomo, a parte quando entra una persona nuova nel gruppo. Si vuota il sacco, insomma. Si parla del sintomo, di quello che si sente, di quello che si prova. Poi già dalla terza e quarta volta ci si rende conto che si parla di tutt’altro.

Dal punto di vista del sintomo, si può dire che suo fratello l'abbia del tutto abbandonato, oppure no?
Sono già 4 anni … e lo considero definitivamente abbandonato.

Diciamo che anche dal punto di vista economico è messo in una situazione interessante.
Sì certo. Ha acquistato un appartamento, ha acceso un mutuo, … comunque si è posto nei confronti della vita in modo diverso. Mentre prima era un soggetto passivo, che subiva il suo modo di essere, e il gioco gli portava via tutta la sua creatività, il suo modo di fare e tutto quello che poteva esserci. Lui praticamente viveva in funzione di recuperare i soldi per poi poter andare a giocarseli, oppure per tappare i buchi che faceva in giro. Ricorreva questo tipo di situazione; la testa era tutta concentrata lì, poi piano piano con il passare del tempo, la sua testa si è concentrata in altre cose, come la casa, un viaggio, un corso d'inglese, il fatto di incontrare una ragazza, una persona. E' tutta un'altra cosa. Il fatto di comperare una cosa non è niente, ma è la volontà di farlo che è difficile, il fatto di mettersi con un mutuo lavorando da solo non è una cosa da poco. Certo ha le spalle coperte magari, ma normalmente non ci avrebbe neanche mai pensato.

Pensare che quando è venuto aveva 26 anni e già ci sono state delle perdite notevoli per il suo tenore di vita e per la sua famiglia …
Si certo, per la sua famiglia che viveva con una pensione.

Quindi lui, quando è venuto qui, aveva una carriera davanti da giocatore d'azzardo che sarebbe stata molto lunga e quindi immaginiamo anche quelli che sarebbe stati i disastri. Lui è ancora molto giovane; adesso ha 31 anni, 32 quest'anno …
Ha una vita diversa davanti; almeno c'è un modo di approcciarsi alle cose che è molto diverso.

Come dico io, il costo pur minimo della terapia ha fatto fruttare molto ma molto di più. Quindi questi 5 anni di disastri economici per la prossima economia sono stati un buon investimento. Le azioni di “Basaldella ovest” reggono meglio di un fondo comune.
Ma è vero, non sono soldi buttati assolutamente e sono anche contenuti. … Ma la cosa più importante è che c'è un risultato. Non è così dappertutto; ccomunque i soldi si sostengono. A volte ci sono dei costi ingiustificati e pochi risultati; qui c'è un costo contenuto e c'è un risultato. Questo è molto importante.

Adesso sa che alle 17 inizia il suo ex gruppo. Oramai sono passati 40 minuti e che cosa potremmo dire ancora?
Che sono a disposizione di chi ha bisogno di parlarne e che per me comunque è stata un'ottima esperienza. Io ho un lavoro di responsabilità e mi ha aiutato tanto. Devo dire che devo ricredermi. Nella mia vita ho sempre pensato di non aver bisogno di psicologi, di terapia. Cioè, era una cosa al di fuori dal mio modo di essere. Secondo me, bisogna essere razionali, bisogna andare avanti. Tutti possiamo avere delle difficoltà e bisogna ogni tanto ricorrere a qualcuno che ci dia una mano.

Il paradosso di questo lavoro è che in qualche modo è alla fine che viene riconosciuto maggiormente. Ma è solo dopo aver fatto un lavoro che si vede il risultato. Solo dopo che l'idraulico è intervenuto si vede se l'intervento è riuscito o meno. Dopo qualche anno, si vede se il lavoro ha funzionato. Oltretutto, questa è stata anche una prova a questo suo intervento che faremo. Vuole dire ancora qualcosa ?
Penso di aver detto tutto, non lo so. Ogni tanto parlo troppo. Ho detto più o meno tutto quello che pensavo e forse ho dimenticato qualcosa, qualche particolare, ma a grandi linee è questo. Io sono stata contenta, penso che mi sia servito molto; penso che non serva solo a chi ha il sintomo, ma che sia un ottimo aiuto anche a chi partecipa. E' un'esperienza che dovrebbe essere fatta anche da chi non ha familiari con il sintomo. E' una cosa che va bene per tutti. Non c'entra assolutamente il discorso del sintomo perché per me questo è stato un approccio; poteva essere anche qualche cosa d'altro. Secondo me è un'esperienza che potrebbe essere fatta tranquillamente da una coppia, da una famiglia, da 2 fratelli oppure anche singolarmente.

Certamente, l'altro aspetto che mi viene in mente è che lei sa che quest'anno facciamo il convegno soltanto sul dopo terapia, ma lei sa che l'unico che non conclude mai la terapia, che rimane ingabbiato, è il terapeuta. Lei che cosa ne pensa di questa persona?
Può darsi che sia lui dipendente dal gruppo. Ma d'altronde si chiama strizzacervelli per qualcosa. Si dice anche che chi studia psicologia è perché ha tanti problemi da risolvere. Può darsi che sia per questo motivo; penso che ognuno di noi ha una sua strada e quindi se a uno piace il proprio lavoro, non ci si stanca. A me piace il mio lavoro e quindi mi dedico in maniera perfino esagerata a volte, ma lo faccio volentieri e perciò non mi stanco.

Qual è secondo lei la pericolosità nel fare questo lavoro … Il mio?
E' … di assorbire un po' troppo i carichi degli altri; questo è secondo me. … Di trovarsi troppo invischiato nelle difficoltà altrui e di non riuscire a scaricare un pochino e forse perdere di vista un po' le proprie. Qui bisognerebbe chiedere alla sua famiglia che cosa ne pensa.

Certo, anch'io ho i miei problemi: sono in aggiornamento, sono in analisi individuale. Questa è una professione che è come lavorare un po' in una centrale atomica. Non è il massimo, ma poi non esiste una protezione totale; la passione per un lavoro aiuta a proteggersi in qualche modo. … Allora io la ringrazio e quindi possiamo chiudere il collegamento.






Anna e Mario

Fine Terapia 2007

Sig. Mario
Sig.ra Anna


M: Comincio io, cominci tu? Devo rompere il ghiaccio io, come sempre. Ci presentiamo: siamo una coppia che viene a Campoformido ormai da circa 4 anni, siamo venuti in questo centro ovviamente per problemi legati al gioco d’ azzardo che riguardavano me. Questo percorso è iniziato nel giugno del 2000 e ci ha visti insieme dall’inizio alla fine. Inizialmente c’era molto scetticismo da parte mia nell’affrontare la terapia perché, come accade di solito, nessuno ammette di essere malato o comunque di avere un problema di dipendenza visto che passa inosservata perché non produce manifesti effetti fisici. Dopo una serie di promesse non mantenute ho accettato di entrare in terapia per salvare la famiglia, il nostro rapporto, la mia vita.

A: Più che altro sei stato costretto.

M: Mi sono trovato di fronte ad un bivio: o continuare la vita così come la conducevo o recuperare i valori della famiglia, i figli, una vita onesta, dedita al lavoro onesto, insomma riappropriarmi della vita.

A: Si trattava di decidere: o accettare la terapia ….

M: O non accettarla….

M: Essere messi alla porta, fare le valigie. Così pian piano, grazie a questo centro di terapia, all’aiuto di mia moglie e del dott. De Luca ho iniziato questo percorso molto difficile. Perché questa che oggi può sembrare una cosa molto semplice, non è una passeggiata. Ci sono stati dei momenti molto difficili sia dal punto di vista emotivo sia dal punto di vista del sacrificio stesso. Venendo da una città non lontanissima ma neppure così vicina, per ogni seduta di terapia partivamo da casa alle cinque della sera e rientravamo sei ore dopo. Ogni mercoledì , perché noi siamo venuti assiduamente in terapia ed è questo uno dei segreti a mio avviso per poter riuscire ad avere qualche risultato. Cosa ne dici?

A: Si assiduità e sacrificio. D’altronde tutto si paga altrimenti non se ne capisce il valore. Per noi è stata una doppia terapia perché facendo il tragitto siamo stati in qualche modo costretti a recuperare un rapporto che era perso, un’ unità, una confidenza che erano andate perdute nel corso degli anni e che sicuramente era fra le cause di ciò che era successo. Siamo stati privilegiati dall’ essere lontani, io lo vedo un vantaggio oltre che un sacrificio. Non so se sei d’ accordo?

M: Si sono d’accordo, è un grandissimo vantaggio. Il vantaggio è proprio la possibilità di colloquiare, di aprire un dialogo, di parlare di cose di cui non si parlava da tempo, insomma di stabilire un’intesa. Certo la terapia non è miracolosa.

A: Non è un toccasana, la terapia serve a mio avviso a prendere coscienza dello stato delle cose, di se stessi, della coppia. Tu prima dicevi di essere uscito dal problema grazie al mio aiuto, ma anch’io sono stata aiutata da questo percorso perché mi ha consentito di capire moltissime cose di me oltre che molte cose di noi. Da questo percorso non esce solo la coppia rinnovata ma anche le due persone che formano la coppia. Esco con una nuova coscienza di me, del ruolo che giocavo prima e che gioco adesso nella coppia.

M: Ci si riappropria di un’identità che si era persa. Oggi penso a come tu abbia vissuto quei periodi terribili in cui la sera tornavo, mangiavo, mi sedevo sul divano, pensavo al nulla. Anche la domenica ero sempre apatico, me ne stavo sul letto a dormire oppure sul divano a guardare la tv. E’ stato un periodo molto duro e molto buio. Si perde la misura della vita, si crede di essere sempre dentro a un casinò dove tutto è ovattato, il mondo esterno non esiste ci sei solo tu con la tua possibilità di vincere, di perdere. E’ una sottospecie di vita, e lo si capisce solo venendo qui , mettendosi in gioco in prima persona. Parlare di se stessi non è mai facile, come adesso non è facile fare questa registrazione, soprattutto per chi deve parlare di sè e di cose che non fanno parte del vivere comune perché non è nella norma essere giocatori d’ azzardo. Riuscire oggi a dire certe cose può sembrare semplice, ma in realtà per arrivare a questo c’è stato questo lungo percorso, questo sacrificio a lungo sostenuto .Credo ci sarà ancora molto da lavorare non chiaramente sul sintomo del gioco che dopo un anno circa di frequentazione scompare, ma ci sarà da lavorare perché la vita comunque deve essere affrontata giorno per giorno con animo e spirito sereno, ad esempio come posso educare i miei figli se non posso trasmettere un pensiero positivo? Porto l’esempio del nostro terapeuta: come avrei potuto avere fiducia in lui se avesse fumato o bevuto, se cioè avesse avuto un comportamento contrario a quanto dice in terapia? Penso che il dott. De Luca faccia terapia con spirito di servizio. Chi si avvicina a questo centro deve sapere che è nelle mani di una persona intellettualmente onesta che ti dice fin dall’ inizio quali sono le regole da rispettare; non promette ricette magiche o medicine che ti fanno guarire in breve tempo, ti mette subito al corrente di cosa dovrai affrontare e sopportare. Ci sono momenti nella terapia in cui si viene provocati e il più delle volte, all’inizio, si reagisce in malo modo, ci sono persone che lo fanno anche dopo e chiaramente dimostrano di non aver superato certi stadi della dipendenza.
Durante il percorso si procede per gradi: si inizia a cancellare il sintomo poi si impara ad accettare la noia che a volte ti prende durante la terapia. Un po’ alla volta si comincia ad assaporare la terapia per quello che è:una terapia della coppia, si analizzano e si ricercano le motivazioni che spingono una persona verso comportamenti a rischio. Forse non si riesce a capire fino in fondo perché ci si getta nel vortice del gioco o nell’ alcool piuttosto che nella droga o in qualsiasi altra dipendenza ,di fatto , le dipendenze sono di tanti tipi.

A: Non per contraddirti ma non è sempre necessario trovare la causa scatenante, certo c’è sempre un motivo, ma in questi anni ho riscontrato che la cosa più importante è che la terapia rimette in movimento la comunicazione. Se analizzi il tuo periodo di gioco o comunque quello di altri giocatori ,una delle cose che all’ interno della coppia si interrompe è il flusso della comunicazione, non c’è più comunicazione vera, personale, non solo verbale ma di sentimenti, di stati d’ animo ,di scambio empatico e fisico. La terapia pian piano rimette in moto la comunicazione per cui non è più importante quale cosa abbia scatenato la dipendenza ma il fatto che tu ti riappropri della tua vita e comunichi con l’ altro. Il sintomo scompare perché, se tu volontariamente rinunci a qualcosa resti attaccato ad essa per tutta la vita, non si tratta cioè di stabilire “da oggi non gioco più” ma si tratta di riscoprire lentamente, attraverso la terapia, la capacità di riappropriarsi della propria vita. La vita entra e scaccia la dipendenza: quando si diventa padroni della propria vita non c’è posto per l’ azzardo.

M: Sono d’accordo non è necessario andare alla ricerca del perché si è cominciato; la ricerca durante le terapia si trasforma in consapevolezza.

A: Anche ascoltare le storie degli altri è un fattore importante nella terapia di gruppo. Nel mettere insieme le storie, i problemi, le situazioni, riscontri nell’ altro quello che tu stesso vivi ma non riesci ad oggettivare. Anche per questo è importante l’ assiduità, la continuità al gruppo, perché si crea una certa atmosfera che mette nelle condizioni di attuare quegli scambi confidenziali che solo così diventano terapia.

M: Si hai ragione

A: Per quanto riguarda l’altra persona, il non-giocatore, vive in una particolare situazione di ansia e a sua volta di dipendenza. Spesso non ha la forza o il coraggio di opporsi, mette la testa sotto la sabbia ed è l’ultimo a sapere

M: Nella norma le famiglie sono le ultime a sapere.

A: Il riappropriarsi del proprio ruolo ti dà il coraggio e la forza per reagire.

M: So che è difficile per la moglie o qualunque altro familiare restare in terapia e sottoporsi a domande e interrogativi che li riguardano in prima persona e che molte volte mettono a nudo storie o vissuti particolari .Qualche volta le coppie non resistono ed abbandonano. Coloro che accompagnano i giocatori, ritenendo di svolgere solo un ruolo assistenziale, spesso si sentono a loro volta analizzati e messi in discussione.

A: Non è questione di essere giudicati

M: Ma no, non è questione di giudizio ma di mettersi in gioco.

A: In effetti si toccano delle corde personali che possono far male, qualcosa che puoi aver sepolto nella tua quotidianità e che hai cercato di dimenticare emerge dal tuo passato.

M: Certo.

M: E’ importantissima questa cosa cioè elaborare la perdita. Ci vuole tempo.

A: La perdita del gioco?

M: Anche, è una cosa che fa sorridere , ma bisogna elaborare la perdita del gioco. Il gioco fa parte della nostra vita fin da bambini.

A: E’ diverso

M: Certo è un gioco diverso.

A: Elaborare la perdita del gioco vuol dire diventare adulti.

M: La cosa fondamentale da elaborare è la perdita della dipendenza. Il consiglio che mi sento di dare a chi è ancora indeciso se entrare in terapia è quello di non avere nessuna remora e di affidarsi ad essa rispettando le sue regole anche se rigide.

A: Accettare le regole non è facile, all’inizio bisogna far cadere tutte le resistenze e sai benissimo che il giocatore quando arriva si difende dal gruppo. Inizialmente tutti credono di potercela fare da soli, anche tu hai preso la decisione solo con la seconda ricaduta. Per accettare le regole bisogna arrendersi.

M: Infatti io mi sono arreso, ho cambiato lavoro, frequentazioni, stile di vita e questo è un fatto , fondamentale per cambiare come persona e poter fare il percorso che ti porta verso una nuova vita. Per arrivare a questo ci sono molte resistenze: alcuni sono legati a dei privilegi, al fatto di essere assecondati dai familiari, o all’ avere disponibilità economica. E’ molto difficile abbandonare lo stile di vita precedente, prendere coscienza di essere malati e come tali affidarsi al medico che ti può curare: automedicarsi non serve a nulla.

A: La cosa difficile per te è stata anche il controllo del denaro.

M: Molto difficile.

A: Ti rammento che durante la terapia abbiamo avuto spesso dei contenziosi ai quali ho tenuto testa proprio perché sostenuta dalla terapia, altrimenti avremmo ceduto, soprattutto io, perché da soli, senza il sostegno del gruppo, non è facile tenere testa al giocatore e scaricare l’ ansia .

M: E’ un ruolo ingrato

A: E’ un ruolo ingrato, ma non credo che senza il gruppo ce l’ avrei fatta perché oltre tutto la famiglia non è che mi abbia molto aiutato forse perché non hanno ben capito l’entità del problema.

M: E’ difficile perché non è una cosa che ha effetti tangibili. D’altronde è giusto che sia così ; penso sia innanzitutto opportuno che la coppia riprenda consapevolezza del proprio rapporto, poi eventualmente venga coinvolto il resto dei familiari, ognuno con il proprio ruolo. Il controllo del denaro è una regola ferrea da seguire, il giocatore deve avere in tasca solo il minimo indispensabile per la “sopravvivenza giornaliera” e ne deve dar conto.

A: Mi sembra ieri e invece sono passati quattro anni della nostra vita, solo adesso le ansie vanno affievolendosi. Stiamo tornando alla normalità anche nella gestione del denaro. All’inizio da parte dei familiari c’è un’ ansia assoluta ,tu non puoi capire cosa sia non riuscire a pensare a un domani normale cosa che adesso mi sembra già più fattibile e che si sta lentamente realizzando.

M: All’uscita dalla terapia si cominciano ad avere altri tipi di responsabilità che prima non si ritenevano tali, ad esempio avere 100€ in tasca per far la spesa. Per me gestire 100 euro per la spesa è ancora molto difficile, quando entro al supermercato, infatti, rischio sempre di mettere nel carrello qualcosa di inutile. Dare il giusto valore al denaro è importante per il giocatore che in quanto tale non ha il controllo del denaro, al tavolo da gioco 5.000€ o 50.000€ sono la stessa cosa, è denaro virtuale e solo dopo si vedono le conseguenze. Non si è ancorati alla realtà. Oggi invece quando in casa si fanno i conti, si comincia dalla pianificazione dei debiti .All’inizio i conti è meglio li faccia la moglie, il giocatore deve stare al di fuori dei conti evitando qualsiasi contatto con il danaro.
Quando giocavo avevo sempre una disponibilità economica superiore alla norma in contanti o in carte di credito, solo adesso capisco quale debba essere il loro giusto utilizzo. Non è neppure necessaria la gestione del denaro in prima persona. L’accesso alle finanze avverrà gradatamente, evitando di avere a portata di mano somme considerevoli che vengono amministrate e custodite dalla moglie . Non mi è più necessario, per sentirmi padrone della situazione, avere del denaro in tasca e provvedere personalmente ai pagamenti. Ho superato tranquillamente questa “privazione” al punto che preferisco che la spesa la faccia mia moglie. Queste regole ci hanno portato anche ad avere una maggiore stabilità economica.

A: Mi sono riappropriata di un ruolo che prima avevo delegato a te ,pur lavorando non avevo neppure la gestione di un conto corrente.

A: Ho vinto la paura del denaro.

M: Per il momento le cose vanno benissimo, abbiamo messo in atto un comportamento corretto. Ho preso coscienza che chi ruba in casa propria è un irresponsabile perché ruba a se stesso. Quando si è molto presi dalla dipendenza, si compiono azioni che non hanno un senso logico e come tali non possono che far parte di una malattia. Si arriva al punto di rubare dal portafoglio della moglie, dal salvadanio del figlio. Possono anche scattare meccanismi molto pericolosi, ,qualcuno arriva a furti, truffe, appropriazioni indebite che possono avere conseguenze molto spiacevoli e di lunga durata. Magari ti trovi a dover pagare le conseguenze di ciò che hai fatto prima proprio quando sei uscito dal problema. E’ un comportamento da persone immature ed irresponsabili , con il gioco d’ azzardo giochi con la tua vita ma anche con i sentimenti degli altri . Una strategia che ho messo in atto per recuperare la fiducia di chi mi stava accanto è stata quella di scrivere una lettera di interdizione dalla casa da gioco, non l’ho ritenuta una cosa disonorevole perché ha tutelato me e la mia famiglia.

A: Ha abbassato i miei livelli di ansia,è ma è servita a proteggere anche te che in quel momento non eri in grado né di intendere né di volere.

M: Ovviamente il problema non riguarda solo il gioco al casinò, ma qualunque tipo di gioco d’azzardo pertanto si devono mettere in atto specifiche strategie a supporto della persona.

A: Bisogna tutelarsi. Dopo quattro anni di terapia è un po’ difficile parlare delle sensazioni vissute, le cose importanti penso di averle dette. Auspico per noi che questo sia stato semplicemente un punto di partenza e che la terapia sia servita a rimuovere delle cose molto vecchie tra di noi che forse erano di ostacolo fin dall’ inizio della nostra relazione.

M: Per la prima volta ho fatto qui il bilancio della mia vita ,per certi versi è negativo, purtroppo, ci siamo fatti del male

A: Il passato è passato devi pensare al domani, anzi all’ oggi cercando di vivere la quotidianità .

M: Questo giorno, che è dedicato alla terapia, vorrei che restasse un giorno dedicato a noi. Neppure i figli devono impedirci di avere questa intimità, questo spazio che ci siamo conquistati con grande sacrificio. Questa ricorrenza ci aiuterà a non dimenticare quello che abbiamo passato perché fa parte della nostra vita.

A: Non come ricordo negativo,ma mi auguro come risorsa, anche se è sempre doloroso ripercorrere attraverso le storie degli altri il vissuto personale.

M: Speriamo di aver dato un quadro completo di come eravamo e di come siamo oggi. Sento di dover ringraziare di cuore il terapeuta che pazientemente segue generosamente queste persone. Ritengo di aver avuto una grande opportunità che ho saputo cogliere. Un ringraziamento a tutto il gruppo terapeutico, a mia moglie che mi ha capito, sostenuto, aiutato e a tutti coloro che hanno dato il loro apporto anche indirettamente.




Mesi in terapia
  • Miriam e Dario: 87
  • Silvia e Lino: 58
  • Barbara: 62
  • Anna e Mario: 84